L’ALIBI DELLA VITTIMA
Giovanna Repetto
Giovanna Repetto
(Gargoyle, pp. 333, 17 €)
L’alibi più forte è quello della vittima
Rocca Persa,
piccolo centro collinare dei Castelli Romani, è una meta costante di
Memè, un oscuro individuo invischiato in un prospero commercio
clandestino di cocaina purissima, e al centro di un’indagine condotta
dal maresciallo Trevisan.
L’identità dell’uomo rimane un enigma per tutti. Per Greta,
esuberante ragazza dalle pose vamp e amante di Memè, interessatissima a
scalzarlo dall’illegale e proficuo commercio. Per il brigadiere Di Stasio, che conduce un’indagine parallela con metodi discutibili.
Per Anna Trevisan, moglie inquieta del maresciallo, al corrente dell’inchiesta. Per Alisia,
venticinquenne allo sbando, legata a Greta da una conoscenza quasi
familiare, che non ha nulla dell’amicizia e parecchio dell’opportunismo. Per Marco,
tossicodipendente irredimibile, malgrado le speranze della madre che
vorrebbe mandarlo nella comunità toscana “La cruna dell’ago”. Per Gaetano, pregiudicato in libertà vigilata con il debole per la polvere bianca.
Frattanto Lina –
una psicologa con il dono della diplomazia – e Maria (detta “Holy
Mary”) –, un’assistente sociale un po’ fricchettona, appassionata e
caparbia – operano senza sosta presso il Servizio per le
Tossicodipendenze di Rocca Persa, implementando incisivi percorsi di
riabilitazione.
La sera del 2
settembre, il corpo senza vita di Memè viene ritrovato a Roma, in via
Merulana, nell’appartamento di Andreina Burlando – che aveva lasciato le
chiavi di casa al nipote Marco perché partita per le ferie. Quel giorno diverse persone residenti a Rocca Persa sono nella capitale. Su tutti si staglia l’ombra del sospetto. Tutti hanno un alibi, ma tutti hanno anche un movente. Le indagini
ufficiali prendono strade che via via si rivelano senza uscita, mentre
due giovani carabinieri cercano, quasi per gioco, di ricostruire la vera
identità di Memè, che anche dopo l’omicidio seguita a restare
sconosciuta.
Ha messo qualcosa di sé, Giovanna Repetto, nella stesura del suo romanzo più ambizioso. La competenza professionale, prima di tutto: l’autrice si è occupata di problematiche legate alle dipendenze patologiche presso il Ser.T di una località alle porte di Roma, per
circa trent’anni. Era, forse, arrivato per lei il momento giusto per
raccontare fatti e situazioni relativi a tale esperienza, di calarsi
completamente nella mentalità di soggetti devianti rispetto al comune
sentire; soggetti che si muovono in un contesto caratterizzato da trasgressività,
illegalità, violenza, che lei aveva osservato e di cui si era presa
cura per così tanto tempo. Repetto tratteggia benissimo questi
personaggi che, pur accomunati dal malessere, hanno linguaggi e vissuti
differenti resi altrettanto bene, ed è, al contempo, assai attenta a a
non compromettere mai la coerenza stilistica del testo.
Privo di qualsiasi concessione alla retorica e al paternalismo, quello del disagio sociale è
un nervo continuamente sollecitato nel romanzo (seppure non attraverso
commenti o giudizi espliciti, quanto piuttosto nelle parole di alcuni
personaggi), da cui si diramano altri temi come il confronto fra sanità pubblica e privata, le varie modalità di approccio alla tossicodipendenza, i pregiudizi e le ipocrisie che ancora l’attorniano.
Altro elemento autobiografico è la passione per l’enigmistica e il rebus:
tra i pregi principali della storia c’è il modo particolare in cui sono
organizzati i fatti, la loro concatenazione. In questo “enigma della
camera chiusa” postmoderno, tutti i personaggi vengono
accompagnati fino al momento (e vicino al luogo) del delitto, senza che
si capisca chi l’ha commesso. L’effetto è simile a quello
di un riuscito mosaico in cui tasselli si illuminano progressivamente in
parti diverse del quadro, lasciando capire il senso del tutto solo alla
fine.
Giova alla perfezione dell’incastro
la divisione in capitoli brevi e scattanti, i calibrati colpi di scena e
i sapienti tocchi di ironia, nonché una prosa chiara ed efficace, senza
vocaboli o frasi superflue, in favore di una parola che è piuttosto
evocata che scritta.
Residuale sembra
l’elemento della detection – uno dei tasselli del mosaico ma non il più
importante –, affidato, nel suo esito più efficace, a due simpatici
giovani carabinieri che la portano avanti in maniera indiretta e
giocosa, tra carte, reali e virtuali, tranci di pizza e lattine di
birra. Tale apparente svagatezza investigativa stempera la tensione
espressa invece da altri personaggi e si rivela un originale espediente
narrativo.
Tra giallo psicologico e noir sociale, L’alibi della vittima
racconta della durezza di vivere, ed è un romanzo coinvolgente, amaro,
forte nella sua dimensione corale, in cui a svettare quale vero
protagonista – più che un personaggio in particolare – è specialmente la
dipendenza (dalle sostanze,
dal sesso, dal potere, dall’amore che diventa ossessione per l’altro),
responsabile di condotte terribili come l’autodistruzione, la perdita di dignità, l’aggressività e la sopraffazione. Dramma individuale che diventa dramma sociale.
Aleggiano i numi tutelari dei grandissimi Scerbanenco e Fruttero&Lucentini, mentre piacevolmente lampante è l’omaggio all’immenso Gadda di Quer pasticciaccio brutto de via Merulana.
Da L'alibi della vittima:
Quasi tutti
esplicitavano prima o poi il loro codice di comportamento. Come Adriano,
che aveva rubato a tutti tranne che ai suoi familiari. Pino invece si
vantava di aver rubato soltanto a casa propria. Franco rubava nei
magazzini, ma non avrebbe mai messo piede in una casa. Roberto
svaligiava le case, ma nei negozi ci teneva a pagare al centesimo, ed
esigeva lo scontrino. Stefano era specializzato in automobili, mentre
Piero si era fatto venire i piedi gonfi in cerca di autoradio. Paolo,
che lavorava montando antifurto, neutralizzava solo quelli montati dalla
concorrenza. Gino rubava a tutti fuorché agli amici, mentre Luigi
truffava gli amici e basta. Ernesto toccava solo denaro contante, mentre
Alessio era specializzato in forme di parmigiano. Quasi nessuno
ammetteva di aver scippato vecchie signore, e i pochi beccati sul fatto
dichiaravano di esserne amaramente pentiti.
Per guardare il booktrailer del romanzo:
Per ascoltare la videointervista dell'autrice:
Giovanna Repetto (Genova 1945), scrittrice e psicologa, vive da tempo a Roma. Ha pubblicato La banda di Boscobruno (Mobydick 1999), entrato nella cinquina dei finalisti del premio “Bancarellino” di Pontremoli; Palude, abbracciami! (Mobydick 2000), vincitore del premio “Navile Città di Bologna” come miglior romanzo per ragazzi; La gente immobiliare e Cartoline da Marsiglia
(Mobydick 2002 e 2004). È redattrice della rivista letteraria online
“Il Paradiso degli Orchi”. Scrive poesie che legge durante gli incontri
di slam poetry di cui è anche entusiasta animatrice.
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