Cari Amici Blogger,
cosa accade quando si realizza la cosa maggiormente indesiderabile possibile?
Che cosa posssiamo fare? Cosa può fare il genere umano?
Se non ne abbiamo idea, forse possiamo prendere spunto da quello che si narra nel romanzo a 4 mani di Alessandro Gatti e Manuela Salvi (nella foto - Nata nel 1975. Si è laureata in Grafica e
Comunicazione presso l’Isia di Urbino e dal 2004 collabora con la
Mondadori Ragazzi come copyeditor e traduttrice. La sua carriera di
scrittrice è iniziata invece nel 2005 con l’albo illustrato Nei panni di Zaff edito
dalla Fatatrac. Da allora ha scritto diversi albi con prestigiose case
editrici, e altrettanti romanzi, spaziando in ogni fascia d’età, genere e
argomento. I suoi libri sono stati tradotti in Francia, Spagna e
Germania. Dal 2007 è al timone del portale di critica e informazione letteraria www.editoriaragazzi.com e nel 2011 ha pubblicato il manuale “Scrivere libri per ragazzi” con Dino Audino Editore.), dal titolo "Picabo Swayne Le storie della camera oscura" (Collezione Teens, pag. 256, 9,90 euro, 978-88-347-1784-4). E' una bellissima storia di fantascienza per ragazzi, ma anche per adulti, ambientata nel peggio che possa accadere, in un mondo futuro che vuole cancellare tutti i ricordi.
Una ragazzina di nome Picabo Swayne, grazie a una macchina fotografica magica può salvare il mondo dalla rovina. E' uno dei libri che viene pubblicato questo mese da Fanucci Editore e Pupottina l'ha già adocchiato come probabile regalo natalizio per qualche ragazzina di sua conoscenza, le sue vicine di casa, quelle che si insediano da lei per guardare la tv. Magari riesce a farle rimanere nella loro casa, attaccate alle pagine di un libro. ;-)
Pupottina vi propone ne le prime pagine.
Ecco il Prologo e il primo capitolo:
Era
possibile, lo sapevamo tutti. Ma per molto tempo ci è sembrata
lontana, così lontana che era facile non pensarci.
E
poi è arrivata. La
fine del mondo. Del nostro mondo.
Gli
eventi che nessuno di noi aveva voglia, o forza, o coraggio di
immaginare ci hanno travolti in pochi giorni. Ed
è stato peggio, molto peggio dell’immaginabile. All’improvviso
si sono spente le luci, un blackout totale che ha
sprofondato la città in un panico assoluto. Sento le sirene di autoambulanze
e polizia che gridano nel buio, mentre scrivo a lume
di candela su questo pezzo di carta con una vecchia penna a
sfera. Avevo dimenticato come si fa, a scrivere senza tastiera.
Già
da tre mesi Coldbay è stata blindata e nessuno può entrare o
uscire. Dicono sia per le polveri tossiche che vengono da
est, ma io sospetto ci sia qualcos’altro. Capire cosa, però, è impossibile.
Tutti
gli schermi sono neri e muti, non c’è possibilità di ricevere notizie,
e Andreas è fuori con Barnaba. Non mi fido più di
Cox: da quando c’è stato l’annuncio della crisi energetica è come
impazzito. Non credo più nemmeno a tutte quelle storie che
ci ha raccontato sui soldi che si è procurato per avviare il progetto
del Grande Inceneritore. Andreas ne è entusiasta, ma per
lui a volte l’oceano è più importante di tutto il resto.
Comincio
a pensare che mio padre avesse ragione. E di aver fatto
bene a non parlare in giro della macchina fotografica.
Scrivo
per avere memoria degli eventi, e per lasciarne traccia a
chi verrà dopo di noi. È la memoria la cosa più importante, in
questo momento. Non dimenticarci chi siamo, cosa abbiamo fatto
e come siamo arrivati a questo punto.
Si
parlava di crisi globale già dall’inizio del millennio. Ma solo adesso,
solo la nostra generazione ha toccato con mano cosa significassero
quei segnali che sono stati ignorati per decenni.
Nel
2090, il Pacific Trash Vortex ha raggiunto le coste americane.
Un’immensa
marea di rifiuti in putrefazione, disgregati dalla
salsedine e dal sole, si è abbattuta sulle spiagge e ha chiuso Coldbay
in una palude pericolosa, di cui non si conoscono la
composizione né le nuove specie animali che vi hanno prolificato, mutando
e diventando dannose per l’uomo.
‘Immensa’
non rende l’idea. Tutto è iniziato da una chiazza di
rifiuti radunati e spinti dalle correnti in un punto al largo del
Pacifico. La chiazza è diventata grande due volte la Francia.
E ha continuato ad allargarsi. Finché nel 2090 ha unito la
costa americana a quella dell’Asia.
Andreas
ha lottato al fianco delle associazioni ambientaliste
fin
da quando era un ragazzino, ma non c’è stato niente da fare.
L’oceano
Pacifico è perduto e l’espansione del Vortex non si è
fermata.
Con
l’ecosistema marino distrutto, la crisi del petrolio e il global
warming, tutto è precipitato, a catena. Ma
non pensavamo che si sarebbe arrivati a questo. Al
buio, all’oscurità. Al silenzio, rotto solo dalle sirene incessanti. I
grattacieli e i palazzi sono neri, dalla mia finestra ne intravedo le
sagome nella notte. Se davvero siamo alla Crisi Energetica
raccoglie
libri, ci è stata imposta la consegna di tutto il materiale cartaceo
considerato inutile, come riviste, giornali, vecchi quaderni,
fotografie. A che
scopo?
Ho
paura che stiano cercando di cancellare la nostra memoria. Si
parla con ottimismo di Civiltà Nuova, ma cosa significa?
Ho
paura. Ho paura che si perda il controllo, che la paura stessa
ci spinga ad agire senza considerare le conseguenze profonde delle
nostre scelte. La
mia amica Amelia aveva cominciato a portare via libri dalla
biblioteca in cui lavora e a nasconderli in casa. Le ho dato della
pazza, ma adesso non lo so più. Vorrei capire cosa sta succedendo. Vorrei
solo che le sirene smettessero di urlare e che tornasse
la
luce. Mi sono alzata per premere l’interruttore. Ma tutto è rimasto
buio e immobile. Smetto
di scrivere, è meglio conservare la candela.
Penelope
Swayne
Prima
parte
Si
doveva vivere (o meglio si viveva, per un’abitudine
che
era diventata, infine, istinto) tenendo presente
che
qualsiasi suono prodotto sarebbe stato udito e che,
a
meno di essere al buio, ogni movimento sarebbe stato visto.
GEORGE
ORWELL, 1984
1
Quando
rientrò a casa quella sera, Picabo non trovò sua madre
Penelope.
Non era in
salotto, con un bicchiere di ecotè in mano, e nemmeno al
lavoro nella camera oscura. Picabo non udì la sua voce
che la rimproverava perché aveva di nuovo tardato, né
sentì l’odore del cibo riscaldato per la cena.
«Mamma?»
La cercò
nelle stanze in penombra, l’eco pesante dei suoi anfibi
sul pavimento di legno che risuonava come
un boato nel
silenzio.
Si avvicinò a
una delle finestre e scostò la tendina: la via era deserta e
priva di illuminazione, con le facciate dei palazzi immobili e
avvolte dalle prime ombre della notte. Gli abitanti
di Coldbay erano rincasati al tramonto, come da Programma,
e la città era piombata in una quiete innaturale.
Tonfi leggeri
di passi provenienti dal piano di sopra, accompagnati
da uno scricchiolio di vecchie assi e dal
suono
ovattato di un sassofono, ruppero il silenzio. Picabo non era sola,
nel quartiere di Red Bricks. I suoi amici si
preparavano per la lunga serata. Ma in quel momento neanche la
loro presenza nel palazzo le era di conforto. Non può
sparire come gli altri, si disse, trattenendo le lacrime.
Aveva sempre detto che non l’avrebbero presa.
Si sedette
sul divano ad aspettare. Tenne gli occhi fissi sulla porta
d’ingresso, concentrandosi.
Torna,
pensava, torna. Un rumore di
bestia che rosicchia e gratta la raggiunse dal
battiscopa dietro la poltrona di velluto stinto. Picabo non si mosse
e sbatté le palpebre, come se servisse a vederci più
chiaro nell’oscurità che le era calata addosso gradualmente,
un minuto alla volta.
Sentì di
nuovo grattare con insistenza.
«Vattene via»
gridò, stringendo i pugni. In quel momento voleva solo
concentrarsi su quella stupida porta
che rimaneva
chiusa. Ma l’animale
aveva un compito e non se ne sarebbe andato prima
di averlo portato a termine. Se non l’avesse liberato dal
battiscopa, presto avrebbe cercato un’altra via per
infilarsi nel soggiorno. L’ultima volta era passato da una crepa
all’interno della credenza, in cucina, e si era fatto uno
spuntino con le loro razioni alimentari. Sua madre non era stata
affatto contenta. Lei odiava i ratti.
Torna, pensò
di nuovo Picabo, serrando le labbra. Era insopportabile,
il vuoto.
Si decise ad
alzarsi, con movimenti stanchi. Spostò la poltrona e
tirò via il battiscopa, che cedette facilmente, rivelando un buco nel
muro. Un ratto saltò fuori dall’apertura e si mise a
zampettare in circolo attorno alla stanza, schivando i
mobili con rapida precisione prima di fermarsi di nuovo
davanti a Picabo.
«Hai ragione,
non dovevo farti aspettare. Tutto questo non è colpa
tua» gli mormorò lei.
Prese il
topo, che si lasciò sollevare senza opporre resistenza, e si rimise
in piedi. Raggiunse la piccola scatola di controllo
che gestiva l’impianto elettrico del soggiorno, posta sul
muro accanto alla porta d’ingresso, e tirò fuori
dalla tasca posteriore dei pantaloni una tessera magnetica di
plastica rigenerata. Quando la infilò nell’apposita fessura, la
lampadina appesa al soffitto si accese
lentamente e nella stanza si diffuse una luce fioca appena
sufficiente a distinguere i mobili e gli oggetti. Eppure, le
ferì gli occhi come se si fossero sprigionati migliaia di watt.
Picabo ricacciò di nuovo le lacrime indietro e guardò il
ratto che teneva tra le mani. Sulla schiena, legato con un
laccio di gomma, aveva un pezzo di plastica
rigenerata. Riconobbe le lettere incise nella plastica con grafia
rigida e incerta: Fitz. Il suo vicino che aveva la
fissazione del DreamBox.
Infatti, il
suo messaggio era il solito: Shot
Fitz era
cresciuto nel quartiere di Hunters Point, e come tutti i
ragazzi di quella zona amava le immagini digitali. Da quando si
era trasferito a Red Bricks era riuscito a disintossicarsi
e aveva imparato a occupare il suo tempo libero in
altri modi. Ogni tanto, per esempio, suonava il sassofono. Ma
se chiedeva a Picabo di condividere uno shot con lui,
perché gli shot condivisi erano meno pericolosi per le
cellule cerebrali, voleva dire che si sentiva nostalgico, o agitato, o
insofferente. Una qualsiasi delle emozioni negative
nell’ampio spettro dell’animo umano.
Picabo lasciò
andare il ratto, che sparì nel buco da cui era uscito,
fulmineo. L’idea di uno shot in quel momento era
confortante anche per lei. Per una volta non le importava ciò che sua
madre pensava del DreamBox.
«Non si
risolvono i problemi facendo credere al cervello di essere da
un’altra parte, Picabo» le ripeteva. «Tu
sei qui,
adesso. È con questo che devi fare i conti.
E tu dove
sei, adesso?, pensò, con un peso indefinibile sul cuore e
un velo di rabbia.
Da quando era
nata, Picabo sapeva che quel momento sarebbe
potuto arrivare. Arrivava per tutti. Ma sua
madre era
sempre sembrata sicura che avrebbe trovato il modo di
evitarlo, come con ogni regola della Civiltà Nuova che non
le andava giù.
Penelope
Swayne sapeva come tirarsi fuori dai guai.
Sapeva cosa
era giusto e cosa sbagliato. Sparire, lasciando una figlia
quasi sedicenne ad affrontare la vita che era prevista
per lei, come per tutti gli abitanti di Coldbay, non rientrava
tra le cose giuste.
Picabo si pulì
il naso con la manica della maglia fatta di toppe
colorate ed estrasse la tessera dalla scatola di controllo. Mentre la
lampadina tornava lentamente a spegnersi, lei aprì la
porta d’ingresso e scivolò fuori, nell’androne del palazzo.
Il monolocale di Fitz era al primo piano. La
porta era già aperta: le bastò spingerla per entrare e ritrovarsi
nell’unica stanza in cui viveva il suo nuovo amico,
arredata con pochi pezzi malridotti ma profumata di un’essenza
strana che Picabo non riusciva a identificare.
«Bel buio,
stanotte» esordì Fitz, alzandosi da un divano senza gambe
rivolto verso la finestra. Indossava un
paio di boxer
e nient’altro. Aveva la stazza di un armadio e
un’espressione buona dietro le cicatrici che gli sfregiavano il viso.
«Non più
pesto del solito» replicò Picabo. «Ma perfetto per uno shot.
Ciao, Myra.»
Una ragazza
longilinea, dalle spalle molto ampie, le fece un cenno
dal divano, sventolando il braccio. La ragazza di Fitz, che
quasi ogni notte veniva a dormire a Red Bricks
con lui, ma di giorno viveva a Hunters Point. Avvicinandosi,
Picabo notò che anche lei era a torso nudo.
Picabo fece
una smorfia involontaria. Le ragazze di Hunters Point
andavano contro le regole solo perché sapevano che non
avrebbero vissuto tanto a lungo da dover rientrare nel
Programma obbligatorio di Procreazione. Ma a lei non
sembrava un motivo sufficiente per comportarsi
come una...
«So quello
che pensi di me» continuò Myra, senza muoversi dal
divano. Aveva i sensi ipersviluppati e percepiva ogni
vibrazione che aleggiava nell’aria, come se leggesse
nella mente degli altri. Si era accesa una di quelle sigarette
mefitiche che si vendevano al mercato nero, come se non
le bastassero tutti i veleni che respirava ogni giorno nel
suo quartiere. «Guarda che io a Fitz gli voglio bene davvero.
Lo conosco da una vita.»
«Conosci un
sacco di gente da una vita» replicò Picabo, d’istinto. Si
morse un labbro, pentita. Non le piaceva giudicare gli
altri. Myra alzò le
spalle. Poi le lanciò qualcosa che aveva preso da un
angolo del divano. Nella penombra, Picabo non riuscì ad
afferrare l’oggetto al volo. Dovette chinarsi a
raccoglierlo dal pavimento, sotto lo sguardo divertito di Myra. «Che
cos’è?» le chiese, rigirandosi tra le mani una bustina
blu, sigillata.
«È il mio
regalo di compleanno. Ingoiala se vuoi fare sesso senza
aderire al Programma di Procreazione. In
questa città
ci sono già abbastanza infelici» rispose la ragazza, sistemandosi
i lunghi capelli neri dietro la nuca.
Picabo guardò
la bustina, poi Myra, e notò ancora una volta la
cicatrice che la ragazza aveva sul polso, nel punto in cui
avrebbero dovuto esserci i numeri di identificazione.
«Io non...»
mormorò a bassa voce.
«Se i
Gendarmi ti beccano con quella, sei finita» la interruppe Fitz,
raggiungendole con la scatola del Dream-
Box in mano.
La scosse per dare l’idea di quanti meravigliosi shot avesse
collezionato. «Nemmeno le immagini digitali
irritano Cox quanto qualcuno che cerca di divertirsi senza
procreare.
Picabo infilò
la bustina in uno dei tasconi dei pantaloni senza fare
altri commenti. Myra si alzò, recuperò
dei vestiti
da una sedia sbilenca e iniziò a infilarseli con gesti
bruschi.
«Be’? Che
fai?» le chiese Fitz.
«Lo sai che
quella roba mi annoia. Godetevela. Io vado a farmi un
giro qui attorno» rispose Myra. Ai ragazzi
di Hunters
Point del coprifuoco non importava. Si muovevano
nella notte come ombre, e Picabo li invidiava
per questo.
Alei il buio dava sempre una sensazione di disagio. Fitz alzò le
spalle e tirò fuori il suo DreamBox dalla tasca: una piastrina
grande come una carta di credito, con sopra alcuni
tasti rudimentali, in cui era racchiusa tutta la tecnologia
illegale del XXII secolo.
Picabo
collegò i suoi due auricolari dalla forma conica e appuntita,
che penetravano perfettamente all’interno
dell’orecchio,
alla doppia uscita del DreamBox di Fitz.
«Tocca a te
scegliere» le ricordò Fitz.
«Hai qualche
spiaggia nuova?» chiese lei senza esitazione.
«Oh, ma che
richiesta insolita» ironizzò Fitz, dandole una gomitata
affettuosa. Scavò nella scatola in cui conservava decine di
piccolissimi microchip colorati. Ne pescò uno e
lo inserì sul retro del DreamBox.
Si infilarono
le cuffie e chiusero gli occhi. Aprire gli occhi durante
uno shot significava rischiare che la sovrapposizione dell’immagine
mentale con quella reale mandasse il
cervello in tilt.
«Pronta?»
Picabo annuì
e prese la mano di Fitz. Aveva paura di farsi uno
shot senza avere il contatto con qualcuno, nella realtà.
Temeva di potersi perdere per sempre dentro l’immagine, e
ultimamente non era nemmeno più tanto sicura che le
sarebbe dispiaciuto. Non appena
Fitz premette il tasto play, un’immagine vivida si
formò nella loro mente come un ricordo vero e violento. Picabo lasciò
che la visione della spiaggia in tempesta
le invadesse
il pensiero e colmasse ogni angolo della sua coscienza. Le
onde si infrangevano sulla battigia con una potenza
maestosa, tra gli spruzzi di spuma bianca. L’acqua
limpida abbandonava sulla sabbia conchiglie e stelle
marine, mentre il cielo cupo si spaccava all’orizzonte per far
passare un raggio di sole che annunciava la schiarita.
Nessuno, a
Coldbay, aveva mai visto uno spettacolo del genere. Lo shot durò
pochi secondi, un’immagine priva di suoni che
lasciò i due amici col fiato corto anche quando fu svanita
del tutto. Picabo sentì il cuore che accelerava bruscamente e
strinse la mano di Fitz senza aprire gli occhi,
aspettando che la tachicardia passasse e tutto riprendesse a
scorrere con un ritmo regolare. Il ritmo del presente.
«Wow» esclamò
Fitz.
«Era
bellissima» sospirò Picabo. Poi, senza sapere perché,
scoppiò in lacrime.
Pupottina no lo sa se avete letto o meno, ma pensare ad un futuro in cui la vita di ognuno è scandita da tempi decisi dal
“governo” e in cui le ragazze al compimento dei sedici anni devono prendere
marito e procreare la inquieta. E' assurdo per come viviamo in Occidente adesso, in un periodo nel quale le sedicenni possono solo essere viziate e non date in sposa. In una situazione di emergenza (ma è poi davvero
così?) imperativo è la continuazione della specie umana. In
un futuro così che annulla la libertà di scelta con l’imposizione e la
violenza, Picabo è in possesso di un oggetto che testimonia
l’esistenza di una via d’uscita, la sua sfida è anche la nostra:
sovvertire un sistema che non ha ragione d’esistere.
Voi, che cosa ne pensate?
E' brutto fermarsi quando un libro inizia ad entrare nel vivo ...
Trovate tutto QUI.
8 commenti:
che carina l'idea delle macchine fotografiche
Ciao Pupottina! Ti ringrazio del pensiero che mi hai lasciato. Il sole non splende ancora per me ma ho deciso di riprendere il contatto con voi perchè mi fa sentire meglio. Tu come stai? Tutto procede bene? Un abbraccio.
Erika
Ohoh, io ho sedici anni! :) pensando alle mie coetanee sedicenni, e ce ne sono per "tutti i gusti", credo che nessuna di loro sarebbe adatta ad una vita matrimoniale ora. servirebbe un po' di maturità, no?
Però questo genere di libri non mi ispirano...mm...
Ciao bella,
un bacio al voooooooolo, devo scappare!
M@ddy
Un futuro a dir poco tremendo, ma molto verosimile!
ciao Pupottina carissima,
solo un saluto al volo... per sapere se la pancia cresce.. :-)
un abbraccio
ps: non ho potuto leggere sorry ! ma anche tu però eh ?? un pò più corto no?????????
E' una cosa spaventosa al sole pensiero!!! Voglio vivere la mia vita con i miei tempi, con le mie volontà... libera da ogni "controllo"!
Fannucci è un grande editore.
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