Putin e la ricostruzione
della grande Russia
Sergio Romano
Longanesi - Pag. 160 - € 18
Uno dei personaggi più controversi della storia attuale
Una delle voci più autorevoli del giornalismo italiano
Un autore da oltre 400.000 copie vendute
Perché i russi amano Putin? Il numero uno del Cremlino preoccupa
europei ed americani, ma esprime le ambizioni di un Paese fiero della
sua storia e che non intende rinunciare al suo ruolo
Dire Russia per molti significa dire Vladimir Putin. Da più di quindici
anni al governo di un Paese di enormi dimensioni, che si estende dal
Mare del Nord al Pacifico, l’«uomo più potente del mondo», come dal 2013
lo definisce Forbes, ha infatti impresso il proprio marchio sulla
storia recente dell’ex impero sovietico. Non solo. Con una strategia
politico-istituzionale aggressiva e spregiudicata, che in più occasioni è
parsa lontana dagli standard delle democrazie occidentali, è diventato
uno degli attori principali sullo scenario geopolitico contemporaneo. Ma
quali sono le ragioni profonde di questo successo? Quale il segreto di
un potere così incontrastato? Secondo Sergio Romano, che ha concluso la
sua lunga e prestigiosa carriera diplomatica come ambasciatore proprio a
Mosca, Putin si è impegnato a fondo nella ricostruzione dell’identità
russa, rinnovando un bagaglio di simboli, valori e ideali rimasti
sepolti per secoli. Consapevole del peso della tradizione, che da Pietro
il Grande al tramonto dello zarismo ha forgiato istituzioni e culture
politiche della nazione, Putin ha saputo gestire a proprio vantaggio la
memoria pubblica della Rivoluzione d’Ottobre, rafforzando al tempo
stesso il ruolo della Chiesa ortodossa, cui ha garantito un nuovo spazio
sociale. Ha rispolverato, insomma, un’ideologia e una missione. È da
queste premesse, ci fa capire Romano in pagine documentate e
illuminanti, che dobbiamo necessariamente partire se vogliamo capire
qualcosa di più della Russia odierna e del nostro presente, dalla guerra
al terrorismo in Cecenia al conflitto con l’Ucraina per l’annessione
della Crimea, dalla dottrina militare anti-NATO all’attuale intervento
in Siria, che agita i fantasmi di una guerra fredda collocata troppo in
fretta negli archivi della Storia.
Ex "Amore, sesso, tradimenti" Voglia di cambiare qualcosa nella vita ... Libri, film e serie tv. Quotidianità e dintorni. Online dal 2008
Pagine
L'amore è la risposta, ma mentre aspettate la risposta, il sesso può suggerire delle ottime domande. (Woody Allen)
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venerdì 18 novembre 2016
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giovedì 12 novembre 2015
Novità: LA QUARTA SPONDA
La quarta sponda
Dalla guerra di Libia alle rivolte arabe
Sergio Romano
Longanesi Storia - Pag. 336 - € 22
Non è certamente un caso, se oggi la Libia è, insieme alla Siria, il Paese più violento e caotico del Mediterraneo. Nella Quarta sponda, Sergio Romano ne ripercorre la storia e ce ne illustra i tanti volti. Il primo è quello delle due province ottomane, alla periferia dell’Impero, quando l’Italia ne decise la conquista: piccole società ebraiche ed europee nelle due città maggiori, modesti traffici con il Mediterraneo e con l’Africa, tribù combattenti e gelose della loro indipendenza che daranno molto filo da torcere all’amministrazione coloniale italiana. Il secondo è quello della colonia degli anni Venti e Trenta. Nacque allora, soprattutto durante il governatorato di Balbo, una Libia italiana di cui esistono ancora parecchie tracce. Il terzo è quello della Libia post-coloniale, dopo la fine della Seconda guerra mondiale e la proclamazione dell’indipendenza: un piccolo regno, una nuova ricchezza rappresentata dal petrolio e dal gas, un’importante comunità italiana e buone relazioni con la vecchia potenza coloniale. Il quarto è quello di Gheddafi, ufficiale nazionalista, spregiudicato, tirannico, divorato da insaziabili ambizioni. Il quinto e ultimo volto è quello incompleto di un Paese che non è ancora riuscito, dopo le rivolte arabe, a trovare un nuovo equilibrio ed è tuttora sconvolto da una sanguinosa guerra civile. Ma è sempre lì, di fronte alle coste italiane, con le sue ricchezze, le sue minacce e il suo carico d’immigrati che riversa sulle nostre spiagge: una buona ragione per conoscere meglio la sua storia.
Dalla guerra di Libia alle rivolte arabe
Sergio Romano
Longanesi Storia - Pag. 336 - € 22
Non è certamente un caso, se oggi la Libia è, insieme alla Siria, il Paese più violento e caotico del Mediterraneo. Nella Quarta sponda, Sergio Romano ne ripercorre la storia e ce ne illustra i tanti volti. Il primo è quello delle due province ottomane, alla periferia dell’Impero, quando l’Italia ne decise la conquista: piccole società ebraiche ed europee nelle due città maggiori, modesti traffici con il Mediterraneo e con l’Africa, tribù combattenti e gelose della loro indipendenza che daranno molto filo da torcere all’amministrazione coloniale italiana. Il secondo è quello della colonia degli anni Venti e Trenta. Nacque allora, soprattutto durante il governatorato di Balbo, una Libia italiana di cui esistono ancora parecchie tracce. Il terzo è quello della Libia post-coloniale, dopo la fine della Seconda guerra mondiale e la proclamazione dell’indipendenza: un piccolo regno, una nuova ricchezza rappresentata dal petrolio e dal gas, un’importante comunità italiana e buone relazioni con la vecchia potenza coloniale. Il quarto è quello di Gheddafi, ufficiale nazionalista, spregiudicato, tirannico, divorato da insaziabili ambizioni. Il quinto e ultimo volto è quello incompleto di un Paese che non è ancora riuscito, dopo le rivolte arabe, a trovare un nuovo equilibrio ed è tuttora sconvolto da una sanguinosa guerra civile. Ma è sempre lì, di fronte alle coste italiane, con le sue ricchezze, le sue minacce e il suo carico d’immigrati che riversa sulle nostre spiagge: una buona ragione per conoscere meglio la sua storia.
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martedì 21 aprile 2015
Sergio Romano, "In lode della guerra fredda"
Come l’America ha creduto di aver vinto la Guerra Fredda,
rendendo il mondo ingovernabile
Sergio Romano
IN LODE DELLA GUERRA FREDDA
Longanesi - 140 pagine - 16,00 €
Era una linea e divideva il mondo: da
Stettino a Trieste, da una parte gli Stati Uniti e le democrazie europee,
dall’altra l’Urss e i suoi satelliti. Due giganti che per trent’anni
(1962-1991) si sono osservati e misurati, ognuno dal terreno conosciuto della
propria guardiola, senza mai scontrarsi direttamente.
In questo suo nuovo
saggio, Sergio Romano prende le
mosse proprio dalla Guerra Fredda per analizzare gli equilibri politici
odierni, mettendo in evidenza come, a dispetto del nome, essa rappresentò in
realtà un lungo periodo di pace e stabilità per l’Europa. A differenza di ciò
che accade oggi, infatti, le due superpotenze seppero frenare le forze che al
loro interno premevano per lo scontro, ben consapevoli che lo scoppio di una
guerra nucleare avrebbe avuto conseguenze disastrose per tutti. Un equilibrio
precario, ma pur sempre un equilibrio che venne paradossalmente messo in crisi
dalla caduta del muro di Berlino e dalla disintegrazione dell’Urss, eventi che
favorirono la rinascita di antichi nazionalismi e portarono allo scoppio di
numerosi conflitti, dalla Cecenia al Caucaso all’ex Jugoslavia.
Dopo aver lanciato un necessario
sguardo al passato, dalla crisi cubana ai conflitti in Corea e Vietnam, in Lode alla Guerra Fredda Sergio
Romano giunge fino ai nostri
giorni, mettendo in luce le responsabilità di Stati Uniti ed ex Unione
Sovietica nell’insorgere tanto della crisi ucraina quanto dell’emergenza libica
e del fanatismo jihadista e ponendo l’accento soprattutto sulla nascita dei
cosiddetti “non Stati” – Isis, Ghaza, Kurdistan iacheno, Siria, Libia – con le
grandi incognite che ne derivano: come si combatte contro un “non Stato”? Come
lo si governa? E come si può ricostruire l’ordine perduto?
Sergio Romano (Vicenza, 1929) è stato ambasciatore
alla NATO e, dal settembre 1985 al marzo 1989, a Mosca. Ha insegnato
a Firenze, Sassari, Pavia, Berkeley, Harvard e, per alcuni anni, all’Università
Bocconi di Milano. È editorialista del Corriere
della Sera. Tra i suoi ultimi libri pubblicati da Longanesi: Morire di democrazia (2013) e Il declino dell’impero americano (2014).
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Compresi che l'ordine, a lungo andare, si ristabilisce da solo intorno alle cose (Raymond Radiguet)
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