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venerdì 30 marzo 2012

La leggenda di Roma nel romanzo di Mosca

In uscita il 5 aprile


DAVIDE MOSCA
IL PROFANATORE DI BIBLIOTECHE PROIBITE
Newton Compton - thriller - pag. 320 - € 9,90 
   
Un thriller di cui vi ho già parlato QUI, QUI, QUI e QUI.

Avviso Spoiler: "Se hai intenzione di leggere il libro, forse non dovresti proseguire nella lettura del post, perché potrebbe piacerti scoprire tutto di questo thriller storico leggendolo."
QUI trovi un estratto per saggiarne lo stile.
La leggenda di Remo e Romolo
Buona parte della storiografia moderna è convinta che esista un nucleo originario della leggenda, definito albano-romuleo (su cui poi si sono innestati altri racconti), e che da questo si possono ricavare preziosi informazioni su quanto accadde realmente a metà dell’ottavo secolo a.C.. I primi racconti greci sull’argomento risalgono al settimo secolo avanti Cristo. Esiodo racconta che Ulisse e Circe, genitori di Latino e Fauno, da un luogo nell’entroterra del Lazio, verosimilmente Alba, governavano sui Tirreni, nelle Isole dei Beati. Stesicoro ed Ellanico, di poco posteriori, raccontano di Enea in Italia. Tutti questi elementi vanno ad aggiungersi e a incrostare la narrazione originaria di Remo e Romolo.
La leggenda antica ha smesso di essere considerata una semplice invenzione: le scoperte archeologiche sul Palatino degli ultimi anni (celebri quelle di Carandini) hanno infatti portato alla luce reperti dell’ottavo secolo compatibili con il rituale di fondazione descritto dalle fonti: le capanne romulee, le mura, la fossa-ara di fondazione…
Remo e Romolo, dopo la presa di Alba, concordarono che si sarebbero affidati al volere degli dèi (tramite l’avispicium, l’osservazione del volo degli uccelli) per stabilire a chi di loro due spettasse il diritto di fondare una nuova città. L’Urbe sarebbe sorta dove erano stati salvati dalle acque e nutriti dalla lupa e avrebbe portato il nome del fondatore. Quasi tutte le fonti antiche sono unanimi nel riferire che Remo avvistò per primo un uccello favorevole. Proprio mentre il volatile girava in cerchio sopra di lui, arrivarono messi inviati da Romolo che gli chiedeva di accorrere perché aveva scorto un uccello. In realtà mentiva, e i testimoni lo sapevano. I compagni di Romolo videro però l’uccello volare sul capo di Remo. Quest’ultimo rispose all’appello e accorse dal fratello. Appena fu al suo fianco – raccontano le fonti – apparvero dodici avvoltoi nel cielo. Sacro il numero e sacro il volatile, legato a Giove ed Ercole. E quindi primeggiò Romolo. Qui si nota una chiara forzatura nel racconto mitico: Remo vide per primo il segno divino, perciò aveva già maturato il diritto di conditor, ossia di fondatore. Dionigi di Alicarnasso racconta addirittura che Numitore (loro nonno, il re di Alba che loro due avevano rimesso sul trono) aveva specificatamente stabilito che il diritto di fondatore sarebbe spettato a colui che per primo avesse visto un segno favorevole. Le fonti, però, per giustificare l’evidente prevaricazione di Romolo, che per giunta aveva mentito, preferiscono attribuire maggiore importanza all’ordine quantitativo, scelta quantomeno poco credibile in ambito di investitura divina. Ma non si accorgono di un particolare, che si sono dimenticate di eliminare dal racconto che hanno ereditato. I dodici avvoltoi si manifestano in cielo solo all’apparire di Remo. I compagni dei gemelli non potevano fare altro che testimoniare questa concomitanza, e quindi non poteva esserci margine di errore: sia che contasse la priorità, sia che contasse il numero degli uccelli, era a Remo che spettava la fondazione.
Sempre secondo la leggenda, Romolo fonda la città e traccia il limite sacro del pomerium, che non poteva essere oltrepassato armati, pena la morte. Remo lo attraversa con la spada in pugno e suo fratello lo uccide. Ma gli studiosi si sono chiesti come fece Romolo, disarmato nel pomerium (altrimenti sarebbe stato lui il sacrilego), a uccidere Remo che invece aveva la spada. La verità si annida nelle pieghe del racconto. Remo, primogenito e favorito dagli dèi, fonda la città, suona la tromba lituo e le dà il proprio nome. Romolo, pieno di rabbia, entra armato nel pomerium e uccide il gemello. Ecco perché, come narrano gli autori antichi senza spiegarne il motivo, in precedenza Romolo aveva scagliato l’asta sulla cima del Palatino: che motivo avrebbe avuto se non quello di dichiarare guerra al fratello Remo? Non a caso, il lancio dell’asta in territorio nemico rimarrà nei secoli il rituale romano indispensabile per dichiarare guerra.
Questa ricostruzione, oltre che su elementi interni alla leggenda e riscontri archeologici, si base anche su un affresco presente nella casa di Marco Fabio Secondo a Pompei, nella Villa dei misteri,

Il Lituo
Il lituo era un bastone ricurvo, ma anche una tromba. Era usato dagli auguri (i sacerdoti romani interpreti del volere divino) ed era indispensabile per la creazione di uno spazio sacro (templum. Il termine tecnico è contemplare, che in latino arcaico significa dividere il cielo, appunto con il lituo) nel cielo e nella sottostante proiezione terrestre. Era usato anche come tromba sacra, per sancire la volontà divina: il fondatore proferì i nomi della città, quello vero e quello di facciata, e poi soffiò nel lituo in modo da stabilirli una volta per tutte con una sorta di imprimatur celeste.

I riferimenti mitici
Nella vicenda di Remo e Romo sono presenti numerosi mitemi universali.
Ancora infanti, sono abbandonati in una cesta sul fiume. È per questo che vengono chiamati i salvati dalle acque, proprio come Mosè. Ogni storia tradizionale dello spirito comincia dall’acqua. Al principio della Genesi lo spirito di Dio aleggia sulle acque, mentre il Vangelo di Marco si apre con il battesimo di Gesù: Gesù esce dalle acque e lo spirito si posa sopra di lui.
I gemelli sono allattati dalla lupa sotto il fico ruminale, che per i romani cresceva sopra l’axis mundi, l’asse centrale del mondo che si intersecava con l’altro asse terrestre proprio a Roma, che era pertanto il centro del mondo. Il punto esatto dell’intersezione rappresentava tanto l’umbelicus urbi quanto l’umbelicus orbi, l’ombelico del mondo. Per tutti i popoli antichi il centro del mondo è la casa della divinità.
Il fico, poi, è un elemento centrale in ogni tradizione antica. In India, per esempio, il fico rappresentava l’asse del mondo e il Buddha ottenne l’illuminazione sotto un fico. In Grecia era considerato divino, gli iniziati ai misteri lo mangiavano pronunciando la frase: “la verità è dolce”. Inoltre, il fallo utilizzato nei misteri dionisiaci era di fico, e lo stesso Dioniso era detto creatore e protettore del fico. Nei Veda il latte di fico è la potenza fecondatrice dell’universo. Siddharta ottiene il Risveglio sotto un fico che diventa perciò asse del mondo perché il risveglio coincide con il ritrovamento del Centro. Il fico ha una forte valenza misterica e rappresenta per la stragrande maggioranza delle civiltà antiche la potenza fecondatrice e il centro del mondo. Ecco che allora la vicenda dei gemelli si inserisce in un contesto mitico di ricreazione del mondo.
L’uccisione di Remo diventa anche il sacrificio rituale di fondazione, che era indispensabile nella mentalità arcaica. Per gli antichi, infatti, soltanto la morte poteva far nascere qualcosa. Remo, dunque, si innesta in quella tradizione di divinità legate a un ciclo di morte e rinascita, come Dioniso.

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