Era da un
po’ che non mi concedevo una lettura seria, intensa, della narrativa importante
che non sia pura evasione, ma riflessione. Una di quelle letture che non
terminano senza averti lasciato dentro l’anima qualcosa, quel qualcosa che
hanno trasmesso.
Vi parlo
di Cuccette per signora della scrittrice indiana Anita Nair. Il romanzo è stato
scritto nel 2002.
La
protagonista è una donna di 45 anni, Akhila: quel tipo di donna che fa quello
che ci si aspetta da lei e tutto il resto si limita a sognarlo. “Perciò
colleziona brandelli di speranza, come i bambini collezionano biglietti usati.
La speranza per lei è intrappolata all’interno di desideri irrealizzati.” È una
donna senza marito, senza figli, ma che ha un lavoro che le permette di portare
avanti la famiglia e che scopre disapprovazione negli occhi della sorella
Padma, quando le dice che improvvisamente deve partire in treno, diretta in un
paesino in riva al mare, Kanyakumari. Akhila ha sempre sognato fughe e spazi
liberi. È affamata di vita e di esperienze.
In treno,
trova posto in una cuccetta per signora con altre cinque donne con le quali
condividerà il viaggio e scoprirà modi di vivere alternativi al suo.
Con
Akhila, nella cuccetta (così come prescriveva una legge indiana che prevedeva
che le donne dovessero viaggiare solo con altre donne), ci sono: Janaki,
sposata da quaranta anni, con un uomo che l’ha sempre protetta e l’ha fatta
vivere come sotto una campana di vetro, e madre confusa e protettiva verso il
figlio ormai grande; Margaret Shanti, insegnante di chimica, sposata con il
preside della sua scuola, un uomo insensibile nei suoi confronti e al suo desiderio di maternità, di cui lei si vendica, rendendolo schiavo delle sue attenzioni fisiche fino ad ottenere ciò che vuole; Prabha Devi, una donna perfetta, una moglie, una
madre, un sogno in stile newyorchese in un'India arretrata mentalmente, l’ideale di ogni uomo finché la situazione non le sfugge di mano; Sheela, una quattordicenne con la testa sulle spalle,
un’innocente, con la voglia di cambiare le regole e la capacità di capire ciò
che le altre donne hanno sbagliato nelle loro vite; Marikolanthu, la cui vita è
cambiata da una notte di lussuria che l’ha segnata, cambiata e fatta odiare per l'umiliazione che aveva fatto subire alla sua famiglia e per la sua stessa mancanza di istinto materno. Tra queste sei
donne si crea, subito e con naturalezza, una profonda intimità; si stabilisce una
forte sintonia, un rapporto solidale. Anche la stessa Akhila capisce quale percorso far seguire alla sua vita.
Il fatto
che queste donne siano indiane ha reso forse le loro storie più toccanti e
intense, nonostante le loro vite non siano molto diverse da quelle delle donne
occidentali, intrappolate nei doveri e nelle responsabilità della quotidianità,
ma sempre alla ricerca di una forma di felicità, che doovrebbero poter provare tutte.
Questo
romanzo è come se fosse una ben amalgamata raccolta di racconti, ognuno di una
donna e di una vita diversa, ma allo stesso tempo simile, probabile, autentica.
La lettrice
entra in questo universo costruito da forme di femminilità in cui in parte ci
si ritrova. Ogni vita trasmette qualcosa, lascia una sua traccia, suscita
un’emozione o un’amara riflessione.
Se siete
pronte a questo tipo di lettura, che può interessare anche un uomo, che voglia
conoscere meglio cosa si cela dietro l’universo femminile, vi consiglio di
intraprenderla anche in virtù dell’emozionante fluidità con cui è stata scritta.
Anita Nair è un’ottima scrittrice che sa raccontare le tradizioni della sua
India moderna e la femminilità delle donne che cercano di svecchiarla, di
difendersi dal mondo e dagli spazi in cui gli uomini le hanno relegate per
troppo tempo.
Nel
romanzo ci si chiede se le donne possano vivere senza gli uomini, se siano in
grado di provvedere a loro stesse e alle loro esigenze. La domanda successiva,
che con questo romanzo nasce spontaneamente, è se sono mai esistiti uomini in
grado di vivere senza avere una donna al loro fianco.
È un
romanzo che merita di essere letto nella sua complessità che regala esistenze
fragili e anime combattive che vorrebbero cambiare la situazione delle donne.
VOTO 10+
Voi,
l’avete letto? Che cosa ne pensate?
Le donne
possono vivere senza gli uomini?
Possono uscire
dagli spazi in cui gli uomini le hanno collocate?
Gli uomini
possono vivere senza le donne?
3 commenti:
ciao Pupottina non lh' letto maposso rispondere alle tue domande, secondo me le donne possono vivere senza gli uomini, se la cavano benissimo anche da sole, mentre non tutti gli uomini riescono a gestirsi da soli, non tutte le donne riescono ad uscire dagli spazi in cui sono state collocate, bisogna pensarci forse prima al fatto di non farsi collocare, ma rimanere indipedenti e atonome, ma siccome questo e' difficile per molte ragioni di razza religione e possibilita', ci saranno sempre donne che soffrono, ciao baci rosa grazie, buona settimana.))
un argomento che se ne discute da secoli! l'uomo senza la donna o viceversa possono fare a meno uno dell altra?? io guardo l'umanita' mentre se lo chiede,ciao pupottina
Un modo originale e letterariamente validissimo per porre alcuni eterni dilemmi.
Un saluto,Costantino.
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