PAUL HARDING - ENON
Neri Pozza - € 16 - pag. 240 - Quasi tutti i Crosby, da Howard, che girovagava con il suo carro pieno di mercanzie tra i boschi del Maine, a George Washington, che trascorreva i suoi giorni riparando orologi, hanno lasciato vedove le mogli e orfani i figli. Charlie Crosby costituisce l’eccezione. Il destino è scritto diversamente per lui. Nipote di George Washington, Charlie vive a Enon, una piccola città a nord di Boston. Pittura case, e a volte gli capita di tagliare l’erba nei giardini e spalare la neve. Una vita fatta di piccole cose: camminare nei boschi con Kate, la figlia tredicenne che si incanta ancora a dar da mangiare alle cince e ai picchi che vengono a beccarle i semi dal palmo; avventurarsi in canoa lungo il fiume che attraversa il paese; contemplare Susan, la moglie, un mistero vivente per il benevolo distacco che traspare dai suoi occhi turchesi e tuttavia, proprio per questo, un mistero irresistibile. Certo, per i genitori di Susan, Charlie è una persona debole o tutt’al più di buon senso, capace solo di borbottare frasi di poco conto in loro presenza. Tuttavia, la loro considerazione non lascia crepe nel rapporto tra Charlie e la moglie, reso ancora più forte dalla nascita della loro adorata unica figlia. Un giorno però irrompe, crudele, insensata, terribile, la tragedia. In un piovoso pomeriggio di settembre che annuncia la fine dell’estate, mentre sta rientrando in auto dopo una passeggiata nei boschi, Charlie riceve una telefonata di Susan. Con la voce spezzata dal dolore, la moglie gli dice
che un automobilista ha travolto Kate mentre tornava in bici dalla spiaggia, e che tutto è stato così rapido, inevitabile e assurdo che i soccorsi si sono rivelati inutili. La fine della ragazza lascia macigni pesanti sul cuore di Charlie. Susan cerca di reagire, di non soccombere alla sofferenza, ma Charlie cede di schianto. Un giorno, dopo aver trascorso quasi tutta la notte seduto al buio, esausto e senza riuscire a dormire, Charlie scaglia un pugno contro la parete del pianerottolo. Il vecchio intonaco di crine si riversa dal muro come la sabbia da una clessidra a sancire che un altro tempo si è esaurito: quello tra Charlie e Susan, che se ne torna a casa dei suoi, nella sua vecchia camera da letto, che la madre usa per cucire ormai da vent’anni. Sembrerebbe tutto perduto per il nipote di George Washington Crosby, tutto precipitato nell’abisso della disperazione. Tuttavia, da qualche parte è ancora all’opera la semplicità salvifica della natura e del mondo. Con un romanzo struggente e poetico, Paul Harding narra una storia in cui il dolore più grande – la perdita di un figlio per un genitore – apre a una nuova considerazione, a un nuovo senso della vita.
Confermandosi uno dei narratori più talentuosi della sua generazione, Harding non si sottrae mai, come Faulkner, al compito che fa grande uno scrittore: «descrivere quello che sembra impossibile dire a parole» (The Dallas Morning News)
CARLO PATRIARCA
Il campo di battaglia è il cuore degli uomini
Neri Pozza - pag. 224 - € 15 - Etienne e Raymond
hanno stretto un patto di indissolubile amicizia all’École militaire
di Bordeaux, dov’erano tra gli allievi più brillanti, prima di
ritrovarsi, nell’aprile del 1796, nella piana di Albenga al seguito
dell’Armata d’Italia di Bonaparte, acquartierata in attesa di
muovere verso le fertili pianure padane. Etienne vaga smanioso per
l’accampamento, passeggiando tra le tende e scavalcando corpi
addormentati. Medico abituato a fronteggiare quotidianamente i
numerosi malanni di un esercito in guerra – febbri tifoidi,
amputazioni, scabbia, vaiolo, scorbuto, pazzia, nostalgia –, Etienne
cerca di vincere il tedio esercitandosi al suo amato
violoncello.
Raymond è ancora più inquieto. Sulla testa ostenta sempre il suo bonnet d’ourson decorato da una splendida piuma viola, e sul volto mostra ancora la sua proverbiale nobiltà d’animo. Tuttavia, l’irruenza e la spavalderia della gioventù sembrano in lui un ricordo del passato. Ufficiale colto e di bell’aspetto, che parla correntemente l’italiano e il tedesco, Raymond ha ricevuto qualche tempo fa un incarico delicato: recarsi a Milano per raccogliere informazioni da inviare a Parigi sullo stato e la consistenza della guarnigione austriaca. Mai missione si è rivelata più fatale per lui, e il fato ha un solo nome: Costanza Melzi d’Eril, cugina prima del conte Francesco, ben noto in città per le sue simpatie repubblicane, e moglie di un uomo facoltoso e assai fedele agli austriaci. Viso perfetto persino per il più riottoso dei ritrattisti, collo lungo e delicato, spalle dritte e sottili e seno rigoglioso, Costanza ha infranto talmente il cuore di Raymond da rendergli insopportabili le ore trascorse lontano da lei. «Sono irrimediabilmente perduto» confessa l’ufficiale a Etienne che, convinto che la guerra contro le potenze monarchiche dell’Ancien Régime non possa concedere spazio al sentimento, cerca invano di ridestare nell’amico l’antica risolutezza che ne faceva l’allievo migliore a Bordeaux. In una pausa della dura campagna d’Italia accade, tuttavia, l’irrimediabile: Etienne incontra a Milano Costanza e resta trafitto dal suo fascino e dalla sua bellezza. Con Raymond non lascia trapelare nemmeno un «riflesso di quel diamante spigoloso» che la donna gli ha appoggiato sul cuore, tuttavia le voci corrono e, durante la campagna d’Egitto in cui lo scoraggiamento bellico si accompagna ai deliri di onnipotenza di Napoleone, i due amici si trasformano in duellanti. Opera in cui l’amicizia e il tradimento, l’amore e la passione, la libertà e la tirannia si intrecciano in una trama avvincente, Il campo di battaglia è il cuore degli uomini svela un nuovo talento della narrativa italiana, capace di padroneggiare come pochi il romanzo storico e i temi propri della letteratura. Da amici fraterni a duellanti: una storia d’amore e di gelosia, di libertà e tirannia durante le guerre napoleoniche.
Raymond è ancora più inquieto. Sulla testa ostenta sempre il suo bonnet d’ourson decorato da una splendida piuma viola, e sul volto mostra ancora la sua proverbiale nobiltà d’animo. Tuttavia, l’irruenza e la spavalderia della gioventù sembrano in lui un ricordo del passato. Ufficiale colto e di bell’aspetto, che parla correntemente l’italiano e il tedesco, Raymond ha ricevuto qualche tempo fa un incarico delicato: recarsi a Milano per raccogliere informazioni da inviare a Parigi sullo stato e la consistenza della guarnigione austriaca. Mai missione si è rivelata più fatale per lui, e il fato ha un solo nome: Costanza Melzi d’Eril, cugina prima del conte Francesco, ben noto in città per le sue simpatie repubblicane, e moglie di un uomo facoltoso e assai fedele agli austriaci. Viso perfetto persino per il più riottoso dei ritrattisti, collo lungo e delicato, spalle dritte e sottili e seno rigoglioso, Costanza ha infranto talmente il cuore di Raymond da rendergli insopportabili le ore trascorse lontano da lei. «Sono irrimediabilmente perduto» confessa l’ufficiale a Etienne che, convinto che la guerra contro le potenze monarchiche dell’Ancien Régime non possa concedere spazio al sentimento, cerca invano di ridestare nell’amico l’antica risolutezza che ne faceva l’allievo migliore a Bordeaux. In una pausa della dura campagna d’Italia accade, tuttavia, l’irrimediabile: Etienne incontra a Milano Costanza e resta trafitto dal suo fascino e dalla sua bellezza. Con Raymond non lascia trapelare nemmeno un «riflesso di quel diamante spigoloso» che la donna gli ha appoggiato sul cuore, tuttavia le voci corrono e, durante la campagna d’Egitto in cui lo scoraggiamento bellico si accompagna ai deliri di onnipotenza di Napoleone, i due amici si trasformano in duellanti. Opera in cui l’amicizia e il tradimento, l’amore e la passione, la libertà e la tirannia si intrecciano in una trama avvincente, Il campo di battaglia è il cuore degli uomini svela un nuovo talento della narrativa italiana, capace di padroneggiare come pochi il romanzo storico e i temi propri della letteratura. Da amici fraterni a duellanti: una storia d’amore e di gelosia, di libertà e tirannia durante le guerre napoleoniche.
MARCO MONTEMARANO - LA RICCHEZZA
Neri Pozza - pag. 272 - 16,50 - A quindici anni
Fabrizio Pedrotti è già un gigante. A volte se ne sta in piedi in
mezzo alla sua cameretta come se il suo corpo fosse un fantoccio
ingiustificabile e lui non sapesse come disfarsene. È bello, è un
leader. A scuola è attorniato da una folla di cortigiani, e il mondo
gli si srotola ai piedi come un tappeto. Un giorno del 1975, nel
corridoio di un liceo romano, Fabrizio sceglie Giovanni come amico.
Gli mette una mano sulla testa e lo elegge a suo scudiero. Poi lo
ribattezza Hitchcock e lo accoglie nella cerchia più intima della
sua famiglia. Nel lussuoso appartamento dei Pedrotti,
Giovanni-Hitchcock si muta nel testimone della vita dell’intero
nucleo familiare. Riesce a scorgere il padre, un onorevole
perennemente assente da casa, in una imbarazzante intimità; si rende
subito conto della svagata cortesia ed estraneità della madre;
stringe amicizia con Mario, il fratello minore, un ragazzo gracile,
un fantasma in pantofole che rasenta i muri aprendo e chiudendo in
silenzio le porte; ha una relazione clandestina con Maddalena, la
seducente sorella, una ragazza quasi adulta, coi ricci del colore di
certe alghe marine; e infine apprende il lato nascosto, la zona
d’ombra del rapporto tra Fabrizio e il fratello. A volte Fabrizio
sente un fremito tra il palato e la radice del naso, una specie di
istinto a mordere. E allora lui, il gigante, tortura l’esile
fratello minore, lo sveglia a morsi e lo sfinisce con il solletico.
Finché Mario, che è in preda al panico al minimo tocco, smette quasi
di dare segni di vita. Al fianco dei Pedrotti, Giovanni abbraccia
completamente l’identità di Hitchcock. Al punto tale che si convince
persino di aver determinato la rovina e l’infausto destino di
Fabrizio, Mario e Maddalena con un atto scriteriato e irresponsabile
nell’acceso clima politico degli anni Settanta. Finché, con il
trascorrere degli anni, e l’irrompere della maturità, la verità dei
Pedrotti e di Hitchcock, il loro scudiero, gli appare sotto una luce
inaspettata e sorprendentemente diversa. Con la sua scrittura
asciutta e controllata, La ricchezza è un romanzo che narra
dei ragazzi degli anni Settanta, di una generazione che ha consumato
in fretta il proprio tempo nel sogno e nell’illusione, per esporre
alcuni dei temi fondamentali della letteratura di ogni tempo: le
grandi speranze e le fragili certezze della gioventù,
l’impossibilità di accedere alle vite degli altri, gli inganni della
memoria e dell’Io.
Romanzo vincitore della prima edizione del Premio Nazionale di Letteratura Neri Pozza, «un premio che è un unicum in Italia». Corriere della Sera
IVAN ILLICH
GENERE. Per una critica storica dell'uguaglianza
Neri Pozza - pag. 240 - € 18 - Forse soltanto oggi
l’opera di Ivan Illich conosce quella che Benjamin chiamava «l’ora
della leggibilità». Illich non è solo il geniale iconoclasta che
sottopone a una critica implacabile le istituzioni della modernità.
Se la filosofia implica necessariamente una interrogazione
dell’umanità e della non-umanità dell’uomo, allora la sua ricerca,
che investe le sorti del genere umano in un momento decisivo della
sua storia, è genuinamente filosofica e il suo nome va iscritto
accanto a quelli dei grandi pensatori del Novecento, da Heidegger a
Foucault, da Hannah Arendt a Günther Anders. È in questa nuova
prospettiva che si deve guardare a Genere. Per una critica
storica dell’uguaglianza, che Neri Pozza ripropone in una
versione ampliata e corretta, tenendo conto di tutte le edizioni
pubblicate durante la vita di Illich. Quando il libro uscì nel 1984,
la critica dell’uguaglianza fra i sessi e la rivendicazione del
«genere» contro il sesso erano decisamente precoci e diedero luogo a
polemiche e fraintendimenti. Come Illich scrive nell’importante
prefazione alla seconda edizione tedesca (finora inedita in
italiano), la perdita del genere e la sua trasformazione in
sessualità – che costituisce uno dei temi centrali del libro – sono
trattate qui non nella forma di una «critica aggressiva» della
modernità, ma in quella di una riflessione intorno ai mutamenti nei
modi della percezione del corpo e delle sue relazioni col mondo. In
questione è, cioè, la memoria e la perdita di quell’universo
vernacolare o conviviale che Illich non si stanca di indagare e
descrivere senz’alcuna nostalgia, ma con la lucida consapevolezza
che esso custodisce gli indizi e le tracce di una possibile, felice
sopravvivenza del genere umano.
MONIKA HELD - La notte più buia
Neri Pozza - pag. 270 - € 17 - È il 5
giugno 1964 quando Lena attraversa l’atrio del tribunale di
Francoforte, dove lei lavora come traduttrice, e incontra Heiner
Rosseck. Quell’uomo magro e taciturno è appena arrivato da Vienna
per partecipare al processo contro i crimini nazisti di Auschwitz,
in cui è stato prigioniero. Lena lo assiste in un momento di
difficoltà e non ci mette molto a capire che quell’uomo è disperato.
Prima di tutto perché, per Heiner, ricordare significa riaprire
ferite terribili e dolorose: spiegare come si sopravvive in un campo
di sterminio, quali lavori si svolgono, quante vessazioni fisiche e
umiliazioni psicologiche si devono subire, o raccontare come muoiono
ogni giorno centinaia di uomini, donne e bambini. E poi, Heiner
parla davvero una lingua diversa dalla sua: una lingua in cui
«rampa» non indica il pezzo di metallo di un magazzino, ma lo
scivolo su cui i corpi venivano trasportati verso i forni crematori,
in cui «camino» è la più impronunciabile delle parole, e in cui il
verbo «selezionare» riporta alla memoria ricordi spaventosi. Quando
al cinquantesimo giorno di processo Heiner non ce la fa più e
scoppia a piangere, il giudice sospende il processo. Heiner vuole
tornare a Vienna, lontano da tutti quelli che lo accusano di non
riuscire a scrollarsi quel passato di dosso. Ma ormai è troppo
tardi. Lena ha capito cosa lo tormenta e non vuole lasciarlo andare.
Inizia così una struggente «educazione sentimentale» che li avvicina
sempre di più, e che si concluderà vent’anni dopo in Polonia, dove
Lena, dopo aver visitato i luoghi in cui quell’orrore ha avuto
inizio, capirà che le ombre di Heiner non se ne andranno mai e che
toccherà a lei lottare ogni giorno per ricordargli che esiste
un’altra possibilità per ripartire da zero ed essere finalmente
felice: fidarsi di lei. Con un romanzo dalla trama coinvolgente e
uno stile ricco di esplosioni poetiche, Monika Held fa tesoro delle
testimonianze raccolte in prima persona dai sopravvissuti dei campi
di sterminio e dipinge una storia d’amore universale, cruda e
commovente assieme, che riflette sulla memoria, sulla sofferenza e
sul diritto di ogni uomo di poter credere in un futuro. Come si può pensare di
vivere il presente, se le ferite del passato sanguinano ancora? Uno
struggente romanzo sull’Olocausto che ritorna a una delle pagine più
intense della nostra storia: i processiper i crimini di
Auschwitz. Una magnifica storia
d’amore tra una traduttrice tedesca e un sopravvissuto al campo di
Auschwitz.
MARSHA MEHRAN
Istituto di bellezza Margaret Thatcher
Neri Pozza - pag. 288 -€ 16,50 - Teheran.
Primavera 1982. Quando in Iran scoppia l’ennesimo attentato, Zadi
abbandona l’hammam in cui lavora, prende la figlia Maryam e sale su
un aereo diretto a Buenos Aires. Ad attenderla nel palazzo al numero
1796 dell’Avenida Florida, c’è la signora Haji, proprietaria di un
istituto di bellezza fatto in casa. Sede, in passato, dell’accademia
delle Belle Arti della città, l’edificio che ospita ora l’istituto è
solo un condominio abitato da profughi iraniani come Zadi. Così,
quando la nuova arrivata propone a Haji di riunirsi ogni settimana
per leggere insieme nella loro lingua e ripensare alla loro terra
natale lontana, magicamente il condominio si anima, riportando a
galla le storie dei suoi inquilini. Quella della signora Haji, ad
esempio, che ha girato il mondo con il grande amore della sua vita e
ha appreso i segreti della «danza rotante» dei dervisci. O quella
del Capitano Soheil Bahrami, che dopo un periodotrascorso nella
prigione di Farvin, vive ora con la figlia Sheema, una studentessa
di medicina innamorata di una compagna di corso. E ancora, quella di
Parastoo, l’apprendista di Haji, sposata con un uomo che le ha fatto
credere di possedere una fortuna e poi l’ha abbandonata; oppure
quella di Homa e Reza, che di giorno lavorano al mercato e la sera
dipingono miniature; o, infine, quella del giovane e attraente
rivoluzionario Houshang, infatuato di Zadi. E mentre l’Inghilterra
di Margaret Thatcher dichiara guerra all’Argentina per le Falkland,
una nuova inquilina fa il suo arrivo al numero 1796 dell’Avenida
Florida. Dice di chiamarsi Khanoum Soltani, ma somiglia moltissimo
alla poetessa iraniana Farzaneh Farangi. E tra amori segreti,
confessioni commoventi e ricordi di un tempo perduto per sempre,
saranno proprio le parole di Farzaneh a spingere gli inquilini a
smetterla di vivere nel passato e a cominciare finalmente la loro
vita nuova in Argentina.Con una trama avvincente e una lingua
aggraziata che mescola culture e mondi lontani, Marsha Mehran – già
nota in tutto il mondo con Caffè Babilonia – costruisce un collage
di storie armonioso e toccante e si conferma una delle nuove voci
più interessanti del panorama letterario contemporaneo, con un
romanzo che si preannuncia già un bestseller della prossima
stagione.
Amori, intrighi e
tradimenti delle donne dell’Istituto di bellezza Margaret Thatcher,
Avenida Florida 1796, Buenos Aires, nell’attesissimo nuovo romanzo
dell’autrice di Caffè Babilonia.
La figlia del boia e il monaco nero
pag. 432 - € 18 - Neri Pozza - Schongau, Baviera, inverno 1660. Il giovane medico Simon Fronwieser
viene chiamato alla chiesa di San Lorenzo per soccorrere il parroco,
colto da un malore. Al suo arrivo, però, il sacerdote è già morto.
Alcune circostanze sospette convincono Simon a chiamare l’amico e
boia Kuisl, che intuisce immediatamente che la morte è stata causata
da un veleno. Si apre così per i due investigatori improvvisati un
nuovo caso da risolvere. Compiute le prime indagini, Kuisl – aiutato
dalla figlia Magdalena, da Simon e dalla sorella del parroco
defunto, Benedikta – capisce che il prete era sulle tracce di un
famoso tesoro che, dopo lo scioglimento dell’ordine dei Templari,
era stato nascosto lì in Baviera. Purtroppo, Kuisl non è il solo a
dargli la caccia: una confraternita di domenicani disposti a tutto
gli sta alle calcagna. Mentre Simon e Benedikta risolvono enigmi su
enigmi e scoprono che il tesoro dei Templari si trova nella cappella
di San Giovanni, nel monastero di SteingadenKuisl deve abbandonare
le indagini per occuparsi della figlia Magdalena, rapita e rinchiusa
in una torre dai monaci, e per sgominare una banda di briganti che
sta assalendo i villaggi della zona, portando ovunque terrore e
malattie. E mentre i nostri scoprono che nello scrigno del tesoro
non sono contenuti né oro né gioielli, ma un pezzo della vera croce
di Cristo, un misterioso incendio divampa nel monastero: Kuisl,
Simon e Magdalena riescono a mettersi in salvo, ma di Benedikta –
che il boia ha scoperto essere un brigante sotto mentite spoglie –
non c’è nessuna traccia. Dopo l’enorme successo de La figlia del
boia, Oliver Pötzsch prosegue la saga storica di Kuisl e mette in
scena un thriller storico ricco di colpi di scena, impreziosito da
uno stile avvincente e una trama perfetta, che non affronta soltanto
il topos classico della ricerca del tesoro dei Templari, ma riflette
anche con intelligenza e originalità sul fanatismo e l’avidità di
alcuni rami della Chiesa.
JULIAN FELLOWES - DOWNTON ABBEY
Neri Pozza - È il 15
aprile 1912 quando il Titanic affonda e più di 1500 persone perdono
la vita. La notizia della tragedia fa il giro del mondo. Quando
arriva tra le verdi campagne dello Yorkshire, in Inghilterra, nella
tenuta di Downton Abbey, il Conte e la Contessa di Grantham appaiono
più sconvolti e turbati di chiunque altro. Lo stesso destino che non
ha concesso loro un figlio maschio, ma soltanto tre femmine (Mary,
Edith e Sybill), gli ha appena strappato anche il legittimo erede
della loro proprietà, Patrick Crawley, morto a bordo del
transatlantico. Ora il nuovo beneficiario è Matthew, cugino di terzo
grado della famiglia, un uomo «inopportuno», «scandaloso», che,
contrariamente a tutti i Crawley, lavora per vivere. Inizia così la
serie più seguita e premiata della tv britannica, ideata e scritta
da Julian Fellowes, già vincitore di un Oscar per la sceneggiatura
del film Gosford Park, diretto da Robert Altman. In questo libro
l’autore raccoglie non soltanto il copione della sceneggiatura
originale, ma aggiunge svariati aneddoti sul lavoro di studio sui
personaggi; curiosità sulla scelta delle ambientazioni; spiegazioni
che, per la prima volta, svelano al lettore la verità riguardo agli
episodi tagliati dalla produzione. Si spiega, ad esempio, come mai
fu scelto proprio Highclere Castle come ambientazione; come
facevano, durante le riprese, i vari personaggi a spostarsi così
rapidamente lungo le stanze del castello; oppure perché le cucine
vennero ricostruite negli studi londinesi di Ealing. Downton Abbey è
un’opera «talmente ben fatta che non è necessario aggiungere nessuna
battuta, ma soltanto leggerla a voce alta» per immergersi, grazie
alla forza dei dialoghi e a una serie di perfetti colpi di scena,
nella vita di una famiglia aristocratica di inizio Novecento, e
scoprirne i crucci e le insoddisfazioni, la noia e le gelosie, i
rapporti con i domestici e gli amori più inconfessabili, e godere
dell’elegante ritratto di un’epoca che ha cambiato il nostro mondo
per sempre.
DAL CREATORE DI DOWNTON
ABBEY, JULIAN FELLOWES, L’UOMO CHE L’HA IDEATA, SCRITTA E
REALIZZATA, LA SCENEGGIATURA ORIGINARIA DELLA SERIE. UN LIBRO CHE SI
LEGGE COME IL PIÙ AVVINCENTE DEI ROMANZI STORICI.
EDWARD ST AUBYN - LIETO FINE
Neri Pozza - pag. 270 - € 16 - Cos’altro può capitare a Patrick Melrose, dopo un’infanzia con un
padre violento e una madre alcolista; un’adolescenza tra droghe e
party lussuosi; e una maturità segnata dal ritorno nella tenuta di
famiglia e dall’infelice matrimonio con Mary? Quando anche sua madre
Eleonor muore, Patrick sogna di lasciarsi alle spalle il disgusto
verso la propria famiglia e quella vita troppo sregolata. Al
funerale, però, mentre la bara della madre entra nella navata e i
parenti gli presentano le condoglianze, riceve la notizia che sua
madre non l’ha diseredato, come avrebbe voluto suo padre, ma gli ha
lasciato in eredità ben due milioni di sterline. Perché quel
lascito? E se non fosse un regalo, bensì un’ammissione di
colpevolezza? Separato in casa con la moglie Mary e tentato da
Becky, una ventenne «bella, disponibile e mentalmente disturbata»,
Patrick si rifugia nel silenzio del lutto e, per la prima volta,
riflette a mente lucida sugli eventi che lo hanno portato a
diventare la persona che è. Sprofondando di nuovo nel corridoio di
un’infanzia raccapricciante e parlando con filosofi e
strizzacervelli, con ex amanti e servitori, Patrick non può smettere
di domandarsi perché sua madre non sia mai intervenuta per fermare
le violenze del marito su di lui. E solo quando entra in possesso di
alcune vecchie lettere, intuisce la raccapricciante evidenza: sua
madre Eleonor, che lui aveva sempre considerato la seconda vittima
di un marito dispotico, era a conoscenza di tutto. E lui, in tutti
quegli anni, è stato solo «un giocattolo nella masochistica
relazione tra i suoi genitori». Con la stessa profonda indagine
psicologica dei libri precedenti, Edward St Aubyn – paragonato dalla
critica britannica e statunitense a Evelyn Waugh e Oscar Wilde per
la sferzante descrizione dell’upper class inglese e a Martin Amis,
per il nichilismo – conclude uno dei cicli narrativi contemporanei
più belli degli ultimi anni, con un romanzo elegante e spietato che,
raccontando la storia di una famiglia, riesce a illuminare i luoghi
più bui e inquietanti dell’animo umano.
L’episodio conclusivo
dei Melrose: una saga che ha appassionato centinaia di migliaia di
lettori.
VOI, QUALE PREFERITE?
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