
Come sempre, le sue storie sono diabolicamente geniali, machiavelliche,
articolate, dettagliate, sorprendenti. Questa volta, però, la storia d’amore e coniugale
di Nick e Amy, che coinvolge perché richiama eventi di cronaca nei quali prende
risalto il fenomeno della violenza sulle donne, è forse troppo costruita e
contorta, tanto da apparire irreale. È un romanzo in cui c’è troppo. Anche troppe
riflessioni che si vorrebbero evitare.
Confesso di essermi un po’ persa con i troppi dettagli e forse, proprio
per questo motivo, ne ho apprezzato meno la lettura.
Il tema principale, l’amore, è espletato nella maniera più approfondita
che abbia mai incontrato durante le mie letture sull’argomento. Forse anche
troppo.

Se dalla creatività di uno scrittore si cerca di intuire la personalità
reale, nascosta dietro al nome, con Gillian Flynn forse è meglio non
interrogarsi troppo.
Sicuramente, questo libro porta a guardare al di là delle apparenze di
una coppia e a mettere in discussione l’opinione che ognuno di noi ha della
storia che vive.
I giochi psicologici che ruotano nella dinamica di coppia ci portano ad
interrogarci prima su chi è il marito e su cosa può aver commesso. Poi è la
volta della moglie e le riflessioni si ribaltano sconvolgendo nel profondo
anche il lettore.
Fantastico nell’articolazione della trama, ricca di suspense,
caratteristica primaria dei thriller, altamente psicologici, della Flynn, ma
forse troppo sconvolgente per chi vuole vivere la propria storia sentimentale senza
doversi porre troppe domande su se, come e perché.
“Mi hanno sempre detto che l’amore
dovrebbe essere incondizionato, così è la regola.
Ma se l’amore non ha confini,
né limiti, né condizioni,
perché uno dovrebbe sforzarsi di comportarsi bene?
Se
io so di essere amata qualunque cosa accada,
che gusto c’è?”
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