DAVIDE MOSCA
IL PROFANATORE DI
BIBLIOTECHE PROIBITE
Newton Compton - thriller - pag. 320 - € 9,90
Un thriller di cui vi ho già parlato QUI, QUI, QUI e QUI.
Avviso Spoiler: "Se hai intenzione di leggere il libro, forse non dovresti proseguire nella lettura del post, perché potrebbe piacerti scoprire tutto di questo thriller storico leggendolo."
QUI trovi un estratto per saggiarne lo stile.
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La leggenda di Remo e Romolo
Buona parte della storiografia moderna è
convinta che esista un nucleo originario della leggenda, definito
albano-romuleo (su cui poi si sono innestati altri racconti), e che da questo
si possono ricavare preziosi informazioni su quanto accadde realmente a metà
dell’ottavo secolo a.C.. I primi racconti greci sull’argomento risalgono al
settimo secolo avanti Cristo. Esiodo racconta che Ulisse e Circe, genitori di
Latino e Fauno, da un luogo nell’entroterra del Lazio, verosimilmente Alba,
governavano sui Tirreni, nelle Isole dei Beati. Stesicoro ed Ellanico, di poco
posteriori, raccontano di Enea in Italia. Tutti questi elementi vanno ad
aggiungersi e a incrostare la narrazione originaria di Remo e Romolo.
La leggenda antica ha smesso di essere
considerata una semplice invenzione: le scoperte archeologiche sul Palatino
degli ultimi anni (celebri quelle di Carandini) hanno infatti portato alla luce
reperti dell’ottavo secolo compatibili con il rituale di fondazione descritto
dalle fonti: le capanne romulee, le mura, la fossa-ara di fondazione…
Remo e Romolo, dopo la presa di Alba,
concordarono che si sarebbero affidati al volere degli dèi (tramite l’avispicium, l’osservazione del volo
degli uccelli) per stabilire a chi di loro due spettasse il diritto di fondare
una nuova città. L’Urbe sarebbe sorta dove erano stati salvati dalle acque e
nutriti dalla lupa e avrebbe portato il nome del fondatore. Quasi tutte le
fonti antiche sono unanimi nel riferire che Remo avvistò per primo un uccello
favorevole. Proprio mentre il volatile girava in cerchio sopra di lui,
arrivarono messi inviati da Romolo che gli chiedeva di accorrere perché aveva
scorto un uccello. In realtà mentiva, e i testimoni lo sapevano. I compagni di
Romolo videro però l’uccello volare sul capo di Remo. Quest’ultimo rispose
all’appello e accorse dal fratello. Appena fu al suo fianco – raccontano le
fonti – apparvero dodici avvoltoi nel cielo. Sacro il numero e sacro il
volatile, legato a Giove ed Ercole. E quindi primeggiò Romolo. Qui si nota una
chiara forzatura nel racconto mitico: Remo vide per primo il segno divino,
perciò aveva già maturato il diritto di conditor,
ossia di fondatore. Dionigi di Alicarnasso racconta addirittura che Numitore
(loro nonno, il re di Alba che loro due avevano rimesso sul trono) aveva
specificatamente stabilito che il diritto di fondatore sarebbe spettato a colui
che per primo avesse visto un segno favorevole. Le fonti, però, per
giustificare l’evidente prevaricazione di Romolo, che per giunta aveva mentito,
preferiscono attribuire maggiore importanza all’ordine quantitativo, scelta
quantomeno poco credibile in ambito di investitura divina. Ma non si accorgono
di un particolare, che si sono dimenticate di eliminare dal racconto che hanno
ereditato. I dodici avvoltoi si manifestano in cielo solo all’apparire di Remo.
I compagni dei gemelli non potevano fare altro che testimoniare questa
concomitanza, e quindi non poteva esserci margine di errore: sia che contasse
la priorità, sia che contasse il numero degli uccelli, era a Remo che spettava
la fondazione.
Sempre secondo la leggenda, Romolo fonda la
città e traccia il limite sacro del pomerium,
che non poteva essere oltrepassato armati, pena la morte. Remo lo attraversa
con la spada in pugno e suo fratello lo uccide. Ma gli studiosi si sono chiesti
come fece Romolo, disarmato nel pomerium
(altrimenti sarebbe stato lui il sacrilego), a uccidere Remo che invece aveva
la spada. La verità si annida nelle pieghe del racconto. Remo, primogenito e
favorito dagli dèi, fonda la città, suona la tromba lituo e le dà il proprio
nome. Romolo, pieno di rabbia, entra armato nel pomerium e uccide il gemello. Ecco perché, come narrano gli autori
antichi senza spiegarne il motivo, in precedenza Romolo aveva scagliato l’asta
sulla cima del Palatino: che motivo avrebbe avuto se non quello di dichiarare
guerra al fratello Remo? Non a caso, il lancio dell’asta in territorio nemico
rimarrà nei secoli il rituale romano indispensabile per dichiarare guerra.
Questa ricostruzione, oltre che su elementi
interni alla leggenda e riscontri archeologici, si base anche su un affresco
presente nella casa di Marco Fabio Secondo a Pompei, nella Villa dei misteri,
Il Lituo
Il lituo era un bastone ricurvo, ma anche una
tromba. Era usato dagli auguri (i sacerdoti romani interpreti del volere
divino) ed era indispensabile per la creazione di uno spazio sacro (templum. Il termine tecnico è
contemplare, che in latino arcaico significa dividere il cielo, appunto con il
lituo) nel cielo e nella sottostante proiezione terrestre. Era usato anche come
tromba sacra, per sancire la volontà divina: il fondatore proferì i nomi della
città, quello vero e quello di facciata, e poi soffiò nel lituo in modo da
stabilirli una volta per tutte con una sorta di imprimatur celeste.
I riferimenti mitici
Nella vicenda di Remo e Romo sono presenti
numerosi mitemi universali.
Ancora infanti, sono abbandonati in una cesta
sul fiume. È per questo che vengono chiamati i salvati dalle acque, proprio
come Mosè. Ogni storia tradizionale dello spirito comincia dall’acqua. Al
principio della Genesi lo spirito di Dio aleggia sulle acque, mentre il Vangelo
di Marco si apre con il battesimo di Gesù: Gesù esce dalle acque e lo spirito
si posa sopra di lui.
I gemelli sono allattati dalla lupa sotto il
fico ruminale, che per i romani cresceva sopra l’axis mundi, l’asse centrale del mondo che si intersecava con
l’altro asse terrestre proprio a Roma, che era pertanto il centro del mondo. Il
punto esatto dell’intersezione rappresentava tanto l’umbelicus urbi quanto l’umbelicus orbi, l’ombelico del mondo. Per tutti i popoli antichi il centro
del mondo è la casa della divinità.
Il fico, poi, è un elemento centrale in ogni
tradizione antica. In India, per esempio, il fico rappresentava l’asse del
mondo e il Buddha ottenne l’illuminazione sotto un fico. In Grecia era
considerato divino, gli iniziati ai misteri lo mangiavano pronunciando la
frase: “la verità è dolce”. Inoltre, il fallo utilizzato nei misteri dionisiaci
era di fico, e lo stesso Dioniso era detto creatore e protettore del fico. Nei
Veda il latte di fico è la potenza fecondatrice dell’universo. Siddharta
ottiene il Risveglio sotto un fico che diventa perciò asse del mondo perché il
risveglio coincide con il ritrovamento del Centro. Il fico ha una forte valenza
misterica e rappresenta per la stragrande maggioranza delle civiltà antiche la
potenza fecondatrice e il centro del mondo. Ecco che allora la vicenda dei
gemelli si inserisce in un contesto mitico di ricreazione del mondo.
L’uccisione di Remo diventa
anche il sacrificio rituale di fondazione, che era indispensabile nella
mentalità arcaica. Per gli antichi, infatti, soltanto la morte poteva far
nascere qualcosa. Remo, dunque, si innesta in quella tradizione di divinità
legate a un ciclo di morte e rinascita, come Dioniso.
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