Frederick Rolfe
Adriano VII
L’Europa sta per piombare nell’anarchia
e un oscuro prete viene eletto Papa.
«George Arthur Rose… un santo e un guitto, un genialissimo attore tragico e un cialtrone. Non dimenticheremo mai la sua voce proterva, e blaterante, sfacciata, irriverente, capricciosa, smagliante di colori e di luci». Pietro Citati
«Anticipazioni storiche davvero acute; motivi di un orgoglio satanico; situazioni d’uno snobismo, d’un decadentismo putrefatto; dialoghi d’un incredibile assurdo: c’è un po’ d’ogni cosa. Non si perda l’occasione di leggere un tal libro, di cui tutto può dirsi, ma dopo aver premesso che nel suo genere esso non ha l’eguale». Emilio Cecchi
In un freddo giorno di marzo dei primi anni del
Novecento, George Arthur Rose, vestito col suo prediletto abito di tela
blu simile a una tuta da meccanico, si aggira come un recluso tra le
pareti della sua casa londinese. Consumato da anni di speranze non
soddisfatte, smarrito dinanzi alla rovina del mondo («Le antiche
monarchie legittime sono dovunque in declino, e Demos è pronta ad
inghiottirle nelle sue fauci vili», ama dire al suo gatto, declamando
D’Annunzio), vive nella povertà più assoluta, non confortata da alcuna
sacerdotale parvenza di santità. George Arthur Rose è un prete mancato.
Per oscure ragioni – invereconde calunnie, atroci oltraggi, secondo lui,
di giovinetti immaturi – è stato brutalmente espulso dal Saint Andrews,
il Pontificio Collegio Scozzese di Roma. Bandito dalla Chiesa
cattolica, come una spina, una peste, un’ulcera corrosiva e purulenta,
Rose ha reagito abbracciando di proposito la sua nefasta fama: si è
messo a posare a genio altero, sottile, dotto, inaccessibile. Lui, un
uomo che la divina Vocazione spingerebbe a essere attivo e possente,
ridotto a languire in bizzarre e stupide pose! George Arthur Rose non
sa, tuttavia, che questo freddo giorno di marzo è, in realtà, il giorno
del suo trionfo. Al suo misero cospetto appariranno tra un po’ due
uomini di Chiesa gravi e importanti, un vescovo robusto coi capelli
scuri, e un cardinale coi capelli bianchi e l’aspetto pittoresco.
Verranno a omaggiarlo come esperto conoscitore degli annali dei
conclavi, gli diranno che il conclave in corso per eleggere il nuovo
successore di Pietro è stato misteriosamente rinviato e gli chiederanno
di accettare gli ordini sacri, senz’altro indugio che quello voluto
dalle leggi canoniche.
Di lì a poco le imperscrutabili vie della Provvidenza schiuderanno l’impensabile: dopo un’ulteriore seduta del conclave in cui l’intransigenza e l’equivalenza delle fazioni vieteranno una nomina regolare, il collegio dei «Compromissari» eleggerà sul soglio di Pietro proprio lui, George Arthur Rose, l’antico reietto, che prenderà il nome di Adriano VII e, più inflessibile di Bonifacio VIII, salverà l’Europa dal caos e dall’anarchia e ridisegnerà i confini del mondo. Pubblicato per la prima volta nel 1904, e da allora oggetto di un vero e proprio culto, Adriano VII è un romanzo che, come tutte le grandi opere, si presta a infinite interpretazioni: può essere visto come una profetica anticipazione dei totalitarismi del Ventesimo secolo, come il libro di un impudente profanatore (secondo Giorgio Manganelli la Chiesa era, per Rolfe, il luogo da profanare, dato che solo Iddio poteva dargli l’indirizzo del Diavolo), come l’estremo, meraviglioso frutto di un’esistenza eccentrica. Ripubblicato ora, nel centenario della morte dell’autore, l’opera svela tutta la sua sorprendente, sfrontata attualità.
Di lì a poco le imperscrutabili vie della Provvidenza schiuderanno l’impensabile: dopo un’ulteriore seduta del conclave in cui l’intransigenza e l’equivalenza delle fazioni vieteranno una nomina regolare, il collegio dei «Compromissari» eleggerà sul soglio di Pietro proprio lui, George Arthur Rose, l’antico reietto, che prenderà il nome di Adriano VII e, più inflessibile di Bonifacio VIII, salverà l’Europa dal caos e dall’anarchia e ridisegnerà i confini del mondo. Pubblicato per la prima volta nel 1904, e da allora oggetto di un vero e proprio culto, Adriano VII è un romanzo che, come tutte le grandi opere, si presta a infinite interpretazioni: può essere visto come una profetica anticipazione dei totalitarismi del Ventesimo secolo, come il libro di un impudente profanatore (secondo Giorgio Manganelli la Chiesa era, per Rolfe, il luogo da profanare, dato che solo Iddio poteva dargli l’indirizzo del Diavolo), come l’estremo, meraviglioso frutto di un’esistenza eccentrica. Ripubblicato ora, nel centenario della morte dell’autore, l’opera svela tutta la sua sorprendente, sfrontata attualità.
«Ovviamente, il solo libro da leggere oggi è Adriano VII di Fr. Rolfe». Daniel Mendelsohn
«George Arthur Rose… un santo e un guitto, un genialissimo attore tragico e un cialtrone. Non dimenticheremo mai la sua voce proterva, e blaterante, sfacciata, irriverente, capricciosa, smagliante di colori e di luci». Pietro Citati
«Anticipazioni storiche davvero acute; motivi di un orgoglio satanico; situazioni d’uno snobismo, d’un decadentismo putrefatto; dialoghi d’un incredibile assurdo: c’è un po’ d’ogni cosa. Non si perda l’occasione di leggere un tal libro, di cui tutto può dirsi, ma dopo aver premesso che nel suo genere esso non ha l’eguale». Emilio Cecchi
Frederick Rolfe
nacque a Londra nel 1860. Convertitosi al cattolicesimo da giovane,
dopo gli studi di teologia all’Oscott College e al Collegio Scozzese di
Roma, da dove fu espulso «per oscure e sinistre ragioni», come scrisse
Emilio Cecchi, cominciò la sua esistenza avventurosa, fatta di mille
mestieri – fu fotografo, decoratore, insegnante, segretario del capo dei
socialisti inglesi, pittore – e di intrighi, scandali e miserabili
cadute. Nel 1913, a Venezia, dove, a giorni alterni, viveva nello sfarzo
o nella povertà più assoluta (tutti coloro che l’incontravano, ha
scritto Pietro Citati, avevano «l’impressione di conoscere un monaco
medioevale, avvolto nel suo grande saio, e dedito a studi strani e
solitari»), fu trovato morto nel suo letto. Scrisse racconti e romanzi,
tra cui Nicholas Crabbe e The Desire and Pursuit of the Whole, pubblicati con lo pseudonimo di Frederick Baron Corvo. Adriano VII è la sua opera maggiore, il romanzo in cui traspare da ogni pagina la sua inimitabile esistenza.
1 commento:
Ah, ne ho già letto una recensione.
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