Novita' I LIBRI DELLA CIVETTA - Giugno / Luglio
Un inizio estate ricca di letture che voglio proporvi ...
C.Bowden e M. Molloy - EL SICARIO
È stato addestrato dall’FBI negli Stati Uniti, è un esperto in rapimenti
e torture, ha ucciso centinaia di persone e per vent’anni ha mantenuto
la carica di comandante della polizia dello stato del Chihuahua,
lavorando allo stesso tempo al soldo di un cartello messicano della
droga. Nel suo mondo di corruzione, mantenere l’ordine significava
operare contemporaneamente nell’interesse di entrambi, della polizia e
dei narcotrafficanti: quando dirigeva la squadra speciale anti sequestro
a Juàrez organizzava rapimenti nella stessa città; quando uccideva
sotto ricompensa testava i fucili di precisione che facevano parte
dell’equipaggiamento dei federali.
Non era un fuorilegge. Non era un ribelle. Era lo Stato. Sembra
una storia inventata, la paradossale sceneggiatura di un film d’azione,
ma quello che Charles Bowden e Molly Molloy hanno trascritto in questo
libro è la nuda verità, le parole ascoltate direttamente dalla bocca di
un assassino. Frutto di giorni di colloqui proseguiti per un intero
anno, El Sicario è il ritratto di una persona reale, un killer
professionista che dopo aver commesso un’impressionante sequela di
violenze ed essersi macchiato di terribili atrocità, ha deciso di
smettere, uscendone vivo. Ora trascorre un’esistenza da fuggitivo perché
sulla sua testa pende una taglia da 250.000 dollari. Questa è la sua
autobiografia: un drammatico racconto di innocenza, peccato e redenzione
in Cristo; lo sbalorditivo monologo di quello che siamo soliti definire
“un mostro”, ma che saremo costretti, in modo altrettanto sorprendente,
a riconoscere come una persona apparentemente non diversa dalle altre,
un uomo normale cresciuto in un luogo assurdo. Una voce solitaria che
per prima ha deciso di parlare – di u mini come El Sicario ce ne sono
centinaia in Messico – e di raccontare il volto segreto della guerra
alla droga, la verità che nessuno vuole sentire.
Laura Lippman - I MORTI LO SANNO
Il detective Kevin Infante della squadra Omicidi di Baltimora non si
aspettava certo di passare una mattinata intera al St. Agnes Hospital in
compagnia di Gloria Bustamante, l’avvocato difensore più rompiscatole
della Contea di Baltimora. Rossetto sbavato, tailleur senza un bottone,
scarpe, un tempo di lusso, sformate e consunte in punta, la Bustamante
assiste una donna coi capelli biondi, di età indecifrabile, tra i
trentacinque e i quaranta forse, ricoverata in evidente stato di
confusione in un reparto dell’ospedale. Qualche giorno prima, per un
velo d’olio sulla strada, la berlina della donna è scivolata a sinistra
come l’ago di un tachimetro impazzito, si è girata su se stessa e si è
adagiata sulla fiancata di un SUV bianco. La donna ha visto il SUV
rotolare con lente capriole giù per la scarpata, ma non si è fermata.
Spaventata dal frastuono dei clacson e dallo stridore dei freni, è
scappata via per abbandonare la macchina sul ciglio di una strada
lontana. Infante e la Bustamante sono, però, al St. Agnes Hospital
non per il reato di mancato soccorso, ma per una stupefacente
dichiarazione della donna, che mette e a soqquadro le redazioni delle
gazzette e delle tv dell’intera Contea di Baltimora. La donna, che
secondo il libretto dell’auto dovrebbe essere Penelope Jackson, di
Asheville, North Carolina, ha detto di chiamarsi in realtà Heather
Bethany e di essere una delle due sorelline scomparse una trentina
d’anni fa in un centro commerciale di Baltimora. L’opinione di
Infante e degli inquirenti è che la donna ora ricoverata al St. Agnes
Hospital finga e spari cose campate in aria per la disperazione. Certo,
un esame del DNA potrebbe sciogliere l’enigma e appurare l’identità
della sedicente Heather, se solo i coniugi Bethany fossero i genitori
naturali e non adottivi delle sorelle e, soprattutto, se fossero
rintracciabili. Trent’anni dopo tutti i testimoni possibili appaiono o
passati a miglior vita o impossibilitati a parlare. Solo i morti, dunque, sanno? Giallo
in cui Laura Lippman dimostra davvero di saper esplorare «il cuore
umano» (Tess Gerritsen), I morti lo sanno rapisce e trascina
letteralmente il lettore fino all’attesa rivelazione finale, rimasta
magicamente nascosta pur essendo del tutto evidente nello svolgimento
stesso del romanzo.
Edmund Crispin - LA MOSCA DORATA
Inghilterra,
1940. Alcuni attori e attrici della scena teatrale londinese vengono
convocati a Oxford per mettere in scena una pièce importante che punta
al grande successo. Le prove però si rivelano presto difficili perché ad
animare il gruppo non è solo l’amore per la recitazione ma anche una
certa rivalità interna e un variegato intreccio di relazioni
sentimentali, presenti e passate, con relative ruggini e melasse. In
particolare, Yseut Haskell, procace attricetta dal talento assai
modesto, sembra possedere il gusto perverso del seminar zizzania, cosa
che la rende invisa agli altri in modo pressoché uniforme. Così tanto
che, quando il secondo giorno si scopre che si è suicidata, nessuno
riesce a nascondere il proprio intimo sollievo. Ma a ben guardare, che
bizzarro suicidio! Quasi «impossibile». A formulare dubbi è il
mentalmente ipercinetico Gervase Fen, quarantenne professore di
letteratura inglese del St. Christofer College, eccentrico e franco
spesso al limite della maleducazione. Appassionato di trame poliziesche,
il suo sogno era giusto quello di avere a che fare, un giorno, con un
bel delitto vero da risolvere. Come perdere dunque un’occasione
simile? Così, facendo dispetto al suo caro amico Sir Richard Freeman,
capo della polizia di Oxford con un debole per la letteratura, orientato
a chiudere il caso come suicidio e tornare presto a immergersi tra i
suoi amati classici, Gervase a sua volta abbandona di buon grado i libri
e, ficcando il naso qui e là, mette insieme i primi dettagli di un
quadro delittuoso che si annuncia tanto certo quanto vario e sibillino.
Come trovare chi ha sparato quando chiunque ammette che avrebbe
volentieri premuto il grilletto? Muovendosi tra l’ambiente del teatro e
quello universitario come in un faceto rimbalzo tra messinscena e realtà
provata, l’indagine procede tanto per il nostro improvvisato e
brillante segugio quanto per il lettore stesso che si ritrova, man mano,
con elementi chiari ed altrettanti depistamenti. Fino allo svelamento
finale, degno della migliore tradizione del romanzo giallo.
Daniel Silva - RITRATTO DI UNA SPIA
Il week end di piacere a Londra di Gabriel Allon e di Chiara, la sua
incantevole moglie di origini veneziane, è appena cominciato. Dopo
una visita presso una galleria d’arte in St. James, dove si recano per
autenticare un quadro di Tiziano recentemente venuto alla luce, i due
decidono di pranzare in un quieto ristorante italiano dello Strand, non
lontano da Westminster. Sono due diverse esplosioni dinamitarde, a
Parigi e ad Amburgo, a fare improvvisamente calare il sipario sulla loro
incantevole giornata autunnale: poco dopo, infatti, lungo Wellington
Street, agli occhi esperti di Gabriel non sfuggono i gesti di un
individuo che sembra intenzionato a portare a termine un terzo
attentato. L’uomo sembra avere il tipico atteggiamento degli
attentatori kamikaze, quelle caratteristiche che Gabriel, uno dei
massimi esperti mondiali di strategie antiterrorismo, conosce fin troppo
bene.
La Beretta ben nascosta, Gabriel decide così di seguire
l’individuo sospetto tra la folla che popola il mercato di Covent
Garden; ma prima ancora di poter estrarre la pistola viene atterrato da
due poliziotti londinesi in borghese. Un istante dopo accade il peggio –
corpi e sangue ovunque. Perseguitato dal fantasma del proprio
fallimento, Gabriel si trincera nel suo cottage sulla costa della
Cornovaglia, nell’illusione che il suo ruolo all’interno della vicenda
sia ormai terminato. Ma quando una convocazione della CIA lo raggiunge
si ritrova precipitato all’interno di un’operazione contro una tremenda
organizzazione criminale, capeggiata da uno yemenita di origini
americane: un religioso a cui Allah ha donato “una lingua seducente”. La
posta in gioco non può essere più alta.
Elizabeth Haynes - NELL'ANGOLO PIU' BUIO
Catherine è una ragazza che ha sempre vissuto irresponsabilmente la sua
giovinezza, tra party, alcol e partner occasionali, quando incontra Lee.
Sguardo rude ma diretto, prestante d’aspetto e risoluto nei modi, Lee
infrange subito il suo cuore. Il tempo necessario per un romantico corteggiamento e Catherine accetta, senza alcuna esitazione, di andare a vivere con lui. La
scelta si rivela impeccabile nei primi mesi di convivenza: Lee è
affettuoso, pieno di premure e attenzioni. Appare stranamente sfuggente
soltanto quando viene interrogato sul suo lavoro, ma Catherine,
innamorata com’è, non fa attenzione a questa trascurabile reticenza.
Poi, gradualmente, attraverso segni appena percettibili, piccole scenate
di gelosia, critiche per un’acconciatura o per un abito troppo
eccentrico, il clima muta. Lee diventa ombroso, cupo, si assenta
misteriosamente per giorni e, infine, in un’escalation drammatica, svela
il suo vero volto. Schiaffi, torture psicologiche, botte,
insopportabili umiliazioni fisiche, Catherine viene violata nell’intimo,
rinchiusa a chiave in una stanza, ridotta a vittima inerme di un
carnefice senza pietà. Probabilmente morirebbe se, in circostanze
accidentali, non fosse scoperta nella sua agonia da una vicina di casa,
che denuncia Lee e ne determina l’arresto, il processo e la condanna. La
violenza psichica è penetrata, però, a fondo nella mente e nell’anima
di Catherine. La ragazza cambia ogni giorno strada per tornare a casa,
azzera le sue relazioni col mondo esterno, ispeziona ogni ora
meticolosamente la sua abitazione, assume comportamenti compulsivi
estremi dettati dal fantasma incancellabile del suo carnefice. Un fantasma che diventa di carne e ossa il giorno in cui una telefonata annuncia che Lee è uscito di galera.
Quale preferite?
Compresi che l'ordine, a lungo andare, si ristabilisce da solo intorno alle cose (Raymond Radiguet)
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1 commento:
Quoto El Sicario, per quel Messico drammaticamente lacerato, e da Silva, che é quasi un classico.
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