Ogni
mattina Vittorio Maria Canton di Sant’Andrea, quarant’anni e un metro e
novanta per centodieci chili, poco prima che Gelasio – o meglio
Anatoli, il maggiordomo dallo sguardo siberiano così elegantemente
ribattezzato – metta piede nella sua camera da letto, indossa la giacca
da camera, finge di sistemarsi una chioma fluente che non ha, monta un
rudimentale capestro e, con una smorfia cupa, infila la faccia nel
cappio. Ogni mattina Gelasio non si lascia impressionare dal gesto e,
con aria indifferente, lascia la colazione ed esce dalla camera, mentre
Vittorio Maria si lancia a pancia sotto sul letto. I finti suicidi
sono, per il principe di Sant’Andrea, un’innocua esibizione quotidiana, e
tuttavia sorgono da un’anima dolorosamente afflitta dalla vita in
comune con una vecchia zia malevola che non manca mai di chiamarlo
«Vittorio Maria», scandendo con cura il suo secondo nome; da una casa le
cui pareti sono decorate dai segni dei quadri mancanti – l’unica fonte
di guadagno rimasta all’illustre casato –; dall’amara constatazione che
nessuno più l’invita alle feste che contano, nemmeno l’elegantissimo
Caio Castaldi Ce stelli che ha fatto recapitare alla zia Magda, anziché a
lui, il suo prezioso invito al party Nobili alla ghigliottina. Che
fare? Dove trovare conforto? Nell’amata lettura di gialli scadenti stile
Omicidio a Bora Bora? Nelle pasticche di Tavor? Nell’inaffidabile
compagnia di Gino che si dimentica persino di chiamarlo al suo
compleanno? La svolta della vita di Vittorio viene, inaspettatamente,
proprio dal party Nobili alla ghigliottina, dove accorre l’intera
aristocrazia romana col suo codazzo di stilisti dai lineamenti
immobilizzati dal botox, di medium in parrucca settecentesca, di
capricciosi cartomanti e onorevoli. Durante la festa, Priscil la
Castaldi Cestelli, consorte del conte Caio, ex attrice di commedie sexy
ed ex partecipante all’Isola dei famosi, bellissima nel suo costume da
Maria Antonietta, viene trovata morta. La versione ufficiale è: suicidio
per impiccagione. Che assurdità! Priscilla detta Polly, che non
sopportava di avere nemmeno un foulard al collo, suicida per
impiccagione? Una tesi così inaccettabile che Vittorio decide di
trasformarsi in un implacabile investigatore. Ambientato negli
sfarzosi palazzi dell’aristocrazia romana, Giallo banana ci consegna
un’irresistibile figura di detective, destinata a restare a lungo nella
mente dei lettori.
«Il
primo investigatore a sangue blu della narrativa italiana, decaduto
quanto basta da coltivare un insospettato fiuto per il crimine, ma
soprattutto una passione smodata per la tv spazzatura. E non sappiamo
quale dei due talenti lo renda più esilarante». Diego De Silva
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