Ci sono casi e metodi d’indagine ormai divenuti da manuale. Forse più
qui, nella brevità del racconto, che nei romanzi lunghi, è rintracciabile la maestria
avveniristica della modalità investigativa di Sherlock Holmes che ha fatto
scuola a tutti i CSI e affini televisivi, ma, ancor prima, alla polizia di ogni
Stato che ha così affiancato l’analisi scientifica alle tradizionali tecniche
di interrogatorio.
Il ragionamento logico di Sherlock Holmes non fa una piega e non manca
di stupire.
L’ultimo saluto di Sherlock Holmes è costituito da otto racconti di
Arthur Conan Doyle. Il volume è stato pubblicato per la prima volta nel 1917 ed
è un’opera matura con il “metodo Holmes” ormai collaudato e consolidato.
Secondo la finzione di Conan Doyle, il fidato dottor Watson,
rielaborando i suoi appunti, trova lo spunto per raccontare avventure, rimaste
ancora inedite, dell’infallibile Sherlock Holmes, il quale, sempre vivo e in
buona salute, nonostante qualche acciacco e qualche intermittente attacco
reumatico, da qualche anno, ha rinunciato alla sua carriera investigativa per vivere
in una piccola fattoria sui Downs, a otto chilometri da Eastbourne, dove si
dedica alla filosofia e alla cura dei campi. Pane, per la mente e lo spirito,
unito all’attività manuale e fisica, che la campagna richiede.
Se non ci piace immaginarcelo così, quasi abbandonato a se stesso,
basta ripercorre alcuni suoi casi che, mentre vengono narrati, richiamano alla
mente il ricordo di altri più famosi e rimasti celebri, i misteri che lo hanno
reso il maestro della detection.
Un bel volumetto di racconti che intrattengono e trovano il modo di
interessare il lettore, appassionato di classici del giallo.
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