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Un’indigestione fatale. Così se n’è andato il facoltoso John Waterhouse, ingegnere in pensione, sofferente da tempo di ulcera gastrica. Un decesso talmente inaspettato da cogliere di sorpresa persino il medico curante. E quando il fratello, non convinto, ottiene che il corpo sia riesumato e sottoposto ad autopsia, il responso è agghiacciante: morte per avvelenamento da arsenico, somministrato forse con una medicina.
Sulla placida dimora dei Waterhouse si allunga l’ombra di un assassino. Mentre le indagini di polizia procedono senza esito tra sospetti e false piste, a mettere insieme gli indizi con sottile intuizione sarà Douglas Sewell, vicino di casa e buon amico della vittima.
Lui che conosce bene tutti gli attori di quel dramma è l’unico in grado di smascherare l’artefice della pozione letale. È lui del resto a percepire, ripensandoci, che in quel giorno di settembre c’era nell’aria qualcosa di sinistro. Come la sensazione di un cattivo presagio.
Sebastiano “Bas” Salieri è un illusionista e uno studioso di tradizioni occulte e di misteri. E al suo arrivo a Venezia per prendere possesso di un’eredità, i misteri certo non mancano.
Prima di tutto il Palazzo dalle Cinque Porte, lasciatogli dallo zio Mattia, di porte ne ha quattro. La stessa morte accidentale dello zio solleva parecchi dubbi, e all’incidente non crede neanche il vicequestore Panitta, uomo pratico e con i piedi per terra.
Poi intorno a Bas compare una folla di personaggi bizzarri, inquietanti, e tutti sembrano suggerire che nel palazzo sia nascosto un segreto. Quando Maddalena, amica di Bas, cerca di salvarlo da un complotto ai suoi danni, la mano di un assassino colpisce con inaudita ferocia. Così Bas stringe un’improbabile alleanza con il vicequestore e con l’affascinante Martina, fotografa sempre alla ricerca di uno scoop. In una Venezia invernale, umida e avvolta nella nebbia, la loro indagine li porterà all’opera di Betto Angiolieri, un artista maledetto del Cinquecento. Alle origini più oscure di un arcano che attraversa i secoli.
All’interno, il racconto “Ventitré” di Sergio Cova, vincitore del premio NebbiaGialla 2013
Cranio
fratturato e collo spezzato.
Il 4 febbraio è morta così la moglie del
signor Anderson, cadendo dalle scale della cantina. Era andata a
prendere una bottiglia di vino per la cena, e l’interruttore della luce
guasto l’ha tradita. Ma c’è una scatola di fiammiferi, accanto al
cadavere.
Forse mentre scendeva si è spento il fiammifero ed è
scivolata. Oppure qualcosa l’ha distratta, facendole perdere
l’equilibrio. Tutte le ipotesi sono possibili, ma anche inutili se il
verdetto è di morte accidentale.
Sempre che sia stato davvero un
incidente.
C’è chi giudica sospetto il comportamento del marito: perché
in cantina non è andato lui? Perché da un po’ di tempo sembra assente e
preoccupato?
E poi c’è qualcuno che lo perseguita manipolando il
calendario sulla sua scrivania, in ufficio, per impostarlo su quel
tragico 4 febbraio.
Come un macabro avvertimento. Per Anderson è solo
l’inizio, e prima che gli sia concesso di trovare la pace dovrà
combattere una lunga battaglia. Fino al giorno 31…
Nan
Padgett ha incontrato l’uomo della sua vita: un sogno d’amore che si
realizza. O il preludio di un incubo?
Non si spiega altrimenti perché
tutti, ma proprio tutti, cerchino di ostacolare il matrimonio. Da parte
di Johnny, spasimante deluso, è comprensibile che non ci sia troppo
entusiasmo.
C’è però zia Emily, che l’ha cresciuta dopo una tragedia
familiare e che addirittura interrompe un viaggio per tentare di
metterla in guardia. Perfino la cugina Dorothy, come una sorella per
Nan, sembra voler impedire la sua felicità. Tutti impazziti?
Magari no.
Magari Dick Bartee, il promesso sposo, nasconde davvero l’anima nera che
gli dipingono. Tanto nera da essersi macchiata di un delitto, per il
quale un innocente starebbe scontando la pena in carcere. Ma sarà la
morte improvvisa di zia Emily a spalancare un abisso di segreti
inconfessati. Forse allora le verità nascoste potranno impedire che una
marcia nuziale si trasformi in una marcia funebre.
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